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Diamante sintetico: un problema commerciale per il futuro?

Diamante sintetico: un problema commerciale per il futuro?

una relazione di Antonello Donini

Stiamo parlando di DIAMANTE SINTETICO.
Carbonio (C)  cristallizzato nel sistema cubico disposto nel reticolo secondo la configurazione spaziale tetraedrica.
Come accade nel diamante naturale tale configurazione conferisce a  questo materiale proprietà che lo rendono unico nel suo genere.

Non parliamo quindi di una imitazione ma di vero e proprio diamante prodotto con metodi artificiali di sintesi fatti dall’uomo e non dalla natura.

I primi tentativi di  realizzare in laboratorio l’esatta controparte sintetica del diamante sono databili intorno alla fine del 19° secolo, ma  il primo successo storicamente documentato risale alla prima metà degli anni ’50 del 20° secolo, quando i ricercatori dell’americana General Electric hanno sintetizzato i primi piccoli cristalli di diamante.

Sempre la General Electric, circa 20 anni dopo, ha realizzato i primi diamanti sintetici aventi dimensioni sufficienti per poter avere un utilizzo come gemma, seguita negli  anni ’80 dalla giapponese Sumitomo, dalla De Beers e verso l’inizio degli anni ’90, da laboratori  russi.

Metodi di sintesi

Metodo di produzione HPHT

Il metodo si basa sulle condizioni che hanno permesso in natura la formazione del diamante ovvero alte pressioni ed alte temperature.

All’interno delle celle di reazione contenenti  cristalli-seme, una lega/soluzione metallica (ad esempio nickel e ferro) che funge da fondente/catalizzatore, il nutriente (solitamente grafite) viene esposto a condizioni di alte pressioni ed alte temperature (tra 1400 e 1600°C e tra 50 e 60 kbar) grazie a elementi riscaldanti e presse.
Il carbonio si dissolve nel fondente e si deposita quindi sui cristalli seme posti solitamente in una zona della cella con temperatura inferiore sotto forma di diamante.

Metodo HPHT  BARS

Metodo HPHT  TOROID

Metodo HPHT  CUBOID

Una importante problematica da affrontare per questo metodo di sintesi è quello di tenere lontana la presenza di azoto responsabile di una colorazione verde giallo alla bruna dei cristalli sintetizzati.
L’utilizzo di nuove leghe metalliche utilizzate come fondenti, con l’aggiunta di particolari elementi (come alluminio, cobalto o rame) che permettono di fissare l’azoto facendo in modo che non rientri nel reticolo del diamante.

Si ottengono così diamanti incolori (tipo Iia) o con lieve colorazione  bluastra per la presenza di lievissime quantità di boro (tipo IIb).

DIAMANTE SINTETICO CVD

Ha il grosso vantaggio di avvenire a basse pressioni, nell’ordine di 10-200 torr.

Nella camera viene creato un plasma che rompe la molecola di metano o altro gas contenente C.

Il carbonio si va quindi poi a depositare sotto forma di diamante su un substrato solitamente costituito da sottili semi di diamante.

Elementi utili alla identificazione

I diamanti sintetici incolori CVD sono in generale del tipo IIa ovvero composti da solo carbonio.

Per eliminare una possibile componente bruna presente nei diamanti cristallizzati con questo metodo dovuta a dislocazioni, vengono sottoposti a un post trattamento HPHT in grado di eliminarla.

Al microscopio i diamanti sintetici HPHT mostrano spesso caratteristiche figure di crescita, correlate ai settori di crescita cubici e ottaedrici.

È possibile rilevarle in corrispondenza di zonature di diversa fluorescenza o nella distribuzione del colore all’interno della pietra che segue questi settori di crescita.
Le inclusioni  caratteristiche, ma non sempre presenti, sono residui di fondente che si presentano come inclusioni nere e opache con lustro metallico.

Zonature di colore e linee di struttura in diamante sintetico  HPHT che seguono i settori di crescita

Le inclusioni  caratteristiche, ma non sempre presenti, sono residui di fondente che si presentano come inclusioni nere e opache con lustro metallico o estesi gruppi di inclusioni puntiformi (probabilmente minute particelle di fondente disperso).

Inclusioni di fondente metallico  in diamanti sintetici incolori HPHT

Esempi di inclusioni in diamante sintetico HPHT

I diamanti sintetici CVD potrebbero avere minute inclusioni scure (residui carboniosi) con aloni di tensione probabilmente generati da un post trattamento termico utilizzato per migliorare il colore delle gemme.

Esempi di inclusioni in diamanti cvd

Molti diamanti sintetici HPHT mostrano una caratteristica fluorescenza da gialla a verde giallastra agli UVL (365 nm) e agli UVC (254 nm).

Le impurità che vengono assorbite nella struttura del diamante sintetico durante la sua crescita tendono a concentrarsi ciascuna in determinati settori di crescita, ciò origina caratteristiche figure di fluorescenza, a forma di croce o ottagonali, mai viste in diamanti naturali.

Spesso, a differenza di quanto accade nei naturali, la reazione è più intensa all’onda corta che a quella lunga.

I diamanti naturali generalmente mostrano una fluorescenza più o meno marcata di colore blu (più raramente gialla e, meno comunemente ancora, verde o rosa), abbastanza uniforme e, comunque,  più marcata all’onda lunga che all’onda corta.

Effetti di luminescenza che seguono le direzioni di crescita cubo-ottaedriche in un diamante

La presenza di fosforescenza solitamente persistente (rarissima in natura e atipica nelle pietre incolori) è un buon segno identificativo.
Sono infatti i diamanti di tipo IIb estremamente rari in natura (contenenti boro) che presentano questo effetto solitamente di breve durata.

Una caratteristica particolare dei diamanti prodotti con il metodo HPHT è quello di mostrare poche o lievi birifrangenze anomale al contrario dei diamanti naturali. Nei sintetici CVD le birifrangenze anomale sono generalmente simili a quelle dei diamanti di tipo IIa naturali ovvero con una specie  di graticcio, spesso orientato secondo la direzione di deposizione dei cristalli.

Esistono però cristalli sintetici CVD di qualità “ottica” (QUINDI OTTICAMENTE PERFETTI ED OMOGENEI) privi di birifrangenze anomale.

Birifrangenze anomale in diamante sintetico HPHT. Quando presenti assumono la forma di una croce

Birifrangenze anomale in diamante sintetico CVD

Identificazione certa solo attraverso tecniche analitiche avanzate

La spettrofotometria IR (infrarosso) è un ottimo aiuto per riconoscere la tipologia del diamante ovvero per verificare la presenza o assenza di tracce di alcuni elementi fondamentali. SI hanno così potenziali informazioni per isolare tipologie di diamante che potrebbero essere compatibili con una produzione sintetica.

I Diamanti sintetici incolori sono di tipo IIa (azoto presente in quantità talmente piccola da non poter essere rilevato strumentalmente con IR), mentre quelli blu, come i loro analoghi naturali, sono di tipo IIb (presenza di boro). La presenza del tipo IIb ovvero di tracce di boro è riscontrabile spesso in moltissimi diamanti sintetici incolori. Sono stati anche visti in commercio diamanti sintetici di colore rosa dovuto ad un post trattamento per irraggiamento e successivo riscaldamento a bassa temperatura. E’ bene ricordare che le prime produzioni, proprio per la presenza di azoto prevedevano colorazioni nel giallo con diverse sfumature di bruno o bruno verdastro. Alcuni diamanti di questo tipo trattati per irraggiamento hanno assunto un vivacissimo colore rosso.

Allo spettrofotomentro UV-VIS-NIR la componente Ib presente nei diamanti sintetici giallo verdi genera un assorbimento a partire dai 500 nm verso l’ultravioletto.
Molti diamanti mostrano, una serie di assorbimenti tra 470 nm e 700 nm, dei quali il più evidente è a  658 nm. Questi picchi sono dovuti alla presenza di nickel all’interno della struttura cristallina presente nel catalizzatore.
I diamanti incolori sintetici di tipo IIa sono trasparenti sino a 270 nm.

Presenza di elementi come nickel, ferro, alluminio, cobalto, rame o gli altri metalli impiegati nella crescita, possono essere identificati mediante un’analisi chimica con fluorescenza ai raggi X (EDXRF).

Attraverso la Fotoluminescenza è possibile rilevare centri di colore diagnostici grazie alle tracce di impurità presenti   quindi riconoscere la natura sintetica.

La osservazione degli effetti di luminescenza ad uv molto corti può essere molto utile per riconoscere i diamanti sintetici.  

Quadro della situazione commerciale

I produttori di diamanti sintetico sostengono che:

I diamanti prodotti artificialmente in laboratorio hanno essenzialmente la stessa composizione chimica, struttura cristallina, proprietà ottiche e fisiche dei diamanti estratti dalle miniere: sono quindi diamanti al 100%. L’unica differenza tra i diamanti sintetici e quelli estratti è che uno è stato creato all’interno ed estratto dalla Terra e l’altro è stato creato in un laboratorio all’avanguardia.

Sono numerosi i produttori che sintetizzano diamante soprattutto per scopi industriali.

In gioielleria la dimensione delle gemme sfaccettate ha raggiunto dimensioni decisamente importanti: sono state viste gemme di oltre 10 ct. Ma la maggiore diffusione di questo prodotto si ha su gemme fino ad un max di 2,00 ct e nei lotti melèe (da meno di un punto fino a 0,25 ct).

Costante crescita e diffusione nel settore orafo dell’utilizzo di questo materiale gemmologico, trascinato dall’intensivo e sempre maggiore impiego industriale di questo materiale.
Ampiamente utilizzato negli strumenti come superabrasivi, mole, utensili da taglio, strumenti di perforazione e lucidatura, prodotti dell’industria automobilistica, medica, aerospaziale ed elettronica.

Per i costi di manifattura e per importanza di mercato fanno la parte del leone i paesi asiatici, seguiti dal nord America.

Commercialmente stanno avendo un forte spunto e diffusione soprattutto negli USA e in Giappone.

A fornire un forte discapito per chi tratta il naturale, la FTC statunitense (Federal Trade Commission, organo legislativo commerciale) ha permesso che queste sintesi potessero essere chiamate come “grown diamonds”.
Ha inoltre stabilito che il “diamante sintetico” è da considerarsi come vero e proprio “diamante” permettendo ai produttori di sintetici di commercializzare i loro prodotti come «reali» / «veri» (real diamonds).

Il resto del mondo e le norme ISO internazionali prevedono che questo materiale gemmologico debba essere chiamato, ai fini della chiarezza nei confronti del consumatore solo come  “diamante sintetico” al pari di qualsiasi altra sintesi.
Nessuna altra definizione o semplificazione è ammessa.
ISO 18323:2015

Il costo di questo materiale è attualmente inferiore al naturale di circa il 30-40% ma sono previste ulteriori diminuzioni dovute ad una sempre maggiore diffusione e alla riduzione dei costi di produzione.

I diamanti sintetici rappresentano attualmente circa Il 2% del mercato globale.
Ci si aspetta che entro il 2030 tale quota possa salire al 10%.
Per pietre con peso attorno al 0,50-1,50 ct, adatte ad un impiego come solitario ovvero per un anello da fidanzamento la quota del 7,5% potrebbero essere raggiunta già nel 2020.

Per il «melèe» si potrebbe arrivare ad una quota del 15% nei prossimi due anni.

La diffusione di questo materiale nel melèe potrebbe essere intensificata da una progressiva  scarsità di diamanti estratti in natura in quanto è attesa la chiusura della miniera di Argyle (ormai quasi esausta) che attualmente fornisce la maggior parte dei diamanti piccoli del mondo.

Difficile quindi fare oggi delle previsioni su quale sarà il reale impatto di questo materiale sul mercato dei preziosi.

Le nuove generazioni sembrano, dagli studi di marketing, positivamente favorevoli all’utilizzo di questo nuovo materiale in ornamentazione.

Il diamante sta perdendo quel fascino di pietra simbolo di rarità e amore eterno per raggiungere sempre più lo status di gemma a larga diffusione.
I consumatori iniziano  a percepire i diamanti sintetici come allettanti: è possibile avere gemme più grandi a prezzi più bassi e, soprattutto, fare un investimento «privo di sensi di colpa».
È attiva una importante operazione mediatica per pubblicizzare queste gemme come maggiormente “etiche” rispetto le naturali.
I giovani, essendo giustamente orientati all’ambiente e al non sfruttamento di risorse naturali e soprattutto umane, mostrano maggiore interesse per questo tipo di gemme, rispetto le generazioni precedenti coinvolte maggiormente sulla unicità e rarità del singolo gioiello.

Grossi nomi dello spettacolo e del mondo web come Di Caprio, Lady Gaga, Penelope Cruz o i possessori di Facebook, Twitter e eBay hanno pubblicizzato o persino finanziato strutture per la produzione di diamanti sintetici, credendo nel loro futuro.
La Diamond Foundry uno degli ultimi produttori statunitensi comparsi sul mercato ha dichiarato di essere attualmente l’unico produttore di diamanti certificato “carbon neutral”, in quanto i suoi diamanti sono fabbricati in un reattore al plasma ad energia idroelettrica.
Sostiene inoltre che: “l’estrazione mineraria ha un impatto ambientale maggiore rispetto a qualsiasi altra attività umana. Per un singolo carato di diamante, devono essere scavate circa 250 tonnellate di terra, e vengono rilasciati notevoli quantità di inquinamento atmosferico con l’emissione pesante di anidride carbonica”.

De Beers attraverso il marchio LIGHTBOX ha iniziato la commercializzazione on-line di linee di gioielleria con diamanti sintetici incolori, azzurri e rosa ad un costo molto basso cercando di accaparrarsi una importante fetta di mercato mondiale. (1.00 ct 800,00 US$ – 0.50 ct 400.00 US$ – 0.25 ct 250.00 US$).

Dagli studi più del 60% degli intervistati sarebbero disposti, interessati all’acquisto di un diamante sintetico su un anello di fidanzamento, per il costo inferiore del materiale permettendo così di avere gemme di dimensione maggiore ad un costo inferiore.

I consumatori con disponibilità economica solitamente più legati al fascino, al mistico all’unico  e all’irripetibile…sembrano invece mostrare molto interesse per questo materiale.

I produttori di diamanti sintetici sono stati in grado di interessare i cosiddetti «millennials» promuovendo il Lab Grown Diamond  come high-tech, innovativo e pulito.

In tutti gli aspetti della loro vita cercano marchi, aziende e prodotti che ritengono trasparenti, socialmente e rispettosi dell’ambiente.

Il consumatore non crede ormai più nel valore dei diamanti o del gioiello in generale.

Ci sono infatti stati nel tempo diversi fattori che hanno diffuso sfiducia nel settore.

  • Operatori commerciali poco trasparenti
  • Scarsa conoscenza dei materiali e del mercato da parte degli operatori
  • Scarsa resa dei diamanti da investimento
  • Poche certezze

Occorre però tener conto che: un diamante naturale anche se di brutta qualità avrà sempre un possibile acquirente.
Non esiste invece un mercato secondario per i diamanti sintetici, soprattutto perché i commercianti di diamanti attuali tendenzialmente non li trattano.
Il «buon affare», il risparmio che si può avere acquistando un diamante sintetico, sfuma quando si pensa al fatto che sarà impossibile rivenderlo.

Al momento il quadro è decisamente confuso, poco chiaro. Gli operatori del mondo, dati gli interessi economici che ruotano attorno al materiale naturale, sono decisamente preoccupati e spaventati dalla improvvisa diffusione e dal numero delle operazioni mediatiche che stanno ruotando attorno al diamante sintetico.

Ma se guardiamo al passato quello che sta accadendo ora è stato promosso nello stesso ed identico modo in passato quando DeBeers all’inizio del secolo scorso attraverso operazioni mediatiche mirate e personaggi dello spettacolo (pensiamo a Marylin Monroe e alla frasi «i diamanti sono i migliori amici delle ragazze» e «li diamante è per sempre») ha diffuso l’uso del diamante in gioielleria in modo che potesse diventare per tutti «simbolo di vero amore eterno».

Quindi difficile dare una risposta al quesito iniziale anzi, possiamo aggiungere ora un altro quesito: “il diamante sintetico potrebbe essere una opportunità?”


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Lab-grown diamond: is it a commercial problem for the future?

Lab-grown diamond: is it a commercial problem for the future?

a speech by Antonello Donini

We are talking about

SYNTHETIC DIAMOND

Crystalized carbon (C) in the cubic system and arranged tetrahedrally within the grid.

As with natural diamond, this configuration gives the material properties that make it unique. 

Therefore, we are not speaking of an imitation but of an authentic diamond produced by artificial synthesis methods made by man rather than by nature.

Initial attempts to produce the exact synthetic counterpart of diamond in the laboratory date back to the late 19th century, although the first historical success was recorded in the early 1950s when researchers at the American company, General Electric, synthetized the first small diamond crystals.

About 20 years later, General Electric was also the first to create synthetic diamonds large enough to be used as gems. This success was followed by the Japanese company, Sumitomo, and De Beers in the 1980s and by Russian laboratories in the ‘90s. 

Synthesis methods

The HPHT production method

This method is based on the conditions that led to diamond formation in nature, i.e. high pressure and high temperature.

Crystal seeds, a metal alloy/solution (e.g. nickel and iron), which acts as an amalgamate/catalyst, and the nutrient (usually graphite) are placed inside the reaction cell and exposed to high pressure and high temperatures (between 1400 and 1600° C and between 50 and 60 kbars) using heating elements and presses.
The carbon dissolves into the amalgamate and then deposits on the crystal seeds in diamond form, usually in a part of the cell where the temperature is lower.

HPHT method  BARS

HPHT method  TOROID

HPHT method  CUBOID

An important problem to face in this synthesis method is keeping any nitrogen responsible for the yellow-green to brown colouring of the synthetized crystals at bay.
Using new metal alloys as amalgamates, with the addition of particular elements (such as aluminium, cobalt or copper) fixes the nitrogen so that it cannot go back into the diamond grid.
Colourless diamonds (like lla diamonds) or those with a slightly bluish colour due to a very slight quantity of boron (type Ilb), are thus obtained.

CVD SYNTHETIC DIAMONDS

This method has the advantage of taking place at low pressures of about 10-200 torr.
A plasma is created in the chamber that breaks the molecule of the methane or other carbon-containing gas.
The carbon is then deposited in diamond form on a substrate usually made of tiny diamond seeds.

Useful identification elements

Colourless, CVD synthetic diamonds are generally of the Ila type, i.e. purely carbon.

In order to eliminate any possible brown components in crystalized diamonds that may occur with this method due to dislocations, the stones are subsequently subjected to an HPHT treatment which can eliminate them. 

Under the microscope, synthetic HPHT diamonds often show characteristic growth shapes, correlated to sectors of cubic and octahedral growth.

This growth can be found in zonings of various fluorescence or in the colour distribution within the stone that follows these growth sectors.
Characteristic inclusions, not always present, are amalgamate residues  that look like black and opaque inclusions with a metallic shine.

Colour zoning and structure lines in HPHT synthetic diamonds that follow the growth sectors

Characteristic inclusions, not always present, are amalgamate residues that look like black and opaque inclusions with a metallic shine or large groups of punctiform inclusions (probably minute particles of dispersed amalgamate).

Metal amalgamate inclusions in colourless HPHT synthetic diamonds

Examples of inclusions in HPHT synthetic diamonds

CVD synthetic diamonds can have minute, dark inclusions (carbon residues) with tension streaks probably generated by subsequent heat treatment used to improve the colour of the gems.

Examples of inclusions in CVD diamonds

Many HPHT synthetic diamonds have a typical fluorescence that ranges from yellow to a yellowish green under UVL (365 nm) and UVC (254 nm).

The impurities that are absorbed in the synthetic diamond structure during its growth tend to concentrate in particular growth sectors, that is, they generate characteristic cross-shaped or octagonal fluorescence shape, that are not found in natural diamonds.

Unlike natural diamonds, the reaction is more intense at short wave than long wave.

Natural diamonds generally show a variable degree of quite uniform blue fluorescence (yellow is much rarer and green or pink even more so) which is, in any case, more noticeable at long wave than at short wave.  

Luminescence effects that follow cubo-octahedral growth directions in a diamond

The usually persistent presence of phosphorescence (extremely rare in nature and atypical in colourless stones) is a good identification sign.
In fact, llb-type diamonds are extremely rare in nature (containing boron) which only usually have this effect for a short time.

A particular characteristic of diamonds produced with the HPHT method is that they have few or only slight abnormal birefringencies, unlike natural diamonds. In CVD synthetic diamonds, abnormal birefringencies are generally similar to those in natural, lla-type diamonds, that is, they have a kind of trellis, often going in the same direction as the crystal deposit. 

There are, however, CVD synthetic crystals with an «optic» quality (THEREFORE OPTICALLY PERFECT AND HOMOGENOUS) with no abnormal birefringencies.

Abnormal birefringencies in HPHT synthetic diamond. When present, they are cross-shaped

Abnormal birefringencies in CVD synthetic diamond

Definite identification is only possible with advanced analytical techniques

Infra-red spectrophotometry is ideal for helping to recognize the type of diamond, or rather, to check for the presence or absence of traces of some fundamental elements. IRS thus has the potential information for isolating diamond types that could be compatible with synthetic production.

Colourless synthetic diamonds are type lla (nitrogen in such small quantities that it cannot be detected instrumentally with IR), while blue diamonds, like their natural counterparts, are type llb (presence of boron). Type llb, or rather, traces of boron, can often be found in many colourless synthetic diamonds. Pink synthetic diamonds have also been seen on the market due to a subsequent irradiation treatment and heating at low temperatures. It should be remembered that, due to the presence of nitrogen, the initial productions foresaw yellow colouring in various shades of brown or greenish-brown. Some diamonds of this type, treated with irradiation, have been known to become a very bright red.

In UV-VIS-NIR spectrophotometry, the lb component in yellow-green synthetic diamonds generates an absorption that starts at 500 nm and goes towards ultraviolet.
Many diamonds show a series of absorptions, between 470 nm and 700 nm, with a more evident absorption at 658 nm. These peaks are due to the presence of nickel within the crystalline structure in the catalyst.
lla-type colourless synthetic diamonds are transparent up to 270 nm.

The presence of elements like nickel, iron, aluminium, cobalt, copper or other metals used in the growth, can be identified through chemical analysis with X-ray fluorescence (EDXRF).

Centres of diagnostic colour can be detected through photoluminescence due to traces of impurities. In this way the synthetic nature can be recognized.

Observing the effects of luminescence under extremely short uv can be very useful in recognizing synthetic diamonds.    

Overview of the market situation

Synthetic diamond producers claim that:

Lab-grown diamonds essentially have the same chemical composition, crystalline structure, optical and physical properties as diamonds extracted from mines: they are, therefore, 100% diamonds. The only difference between synthetic and mined diamonds is that one was created within the Earth and extracted while the other was created in a cutting-edge laboratory.

Numerous producers synthetize diamond above all for industrial purposes.

In jewellery, the size of multi-faceted gems has reached decidedly significant dimensions: gems of over 10 ct have been seen.
But the greatest distribution of this product is with gems up to a maximum of 2.00 ct and in melee lots (from less than a dot to up to 0.25 ct).

Constant growth and distribution of this gemmological material in the jewellery sector is towed by its intensive and ever-greater use in industry.
It is widely used in instruments such as super sanders, grinding wheels, cutting tools, tools for drilling and polishing, products used in the automobile, medical, aerospace and electronic industries.

Due to their manufacturing costs and market importance, synthetic diamonds play a leading role in Asian countries, followed by North America.

Commercially-speaking, they are receiving considerable success and distribution in the USA and Japan.

As a detrimental measure against those dealing in the natural stone, the American FTC (Federal Trade Commission, the legislative trade authority) has allowed these synthetic stones to be called “grown diamonds”.
It has also established that «synthetic diamond» is to be considered as real «diamond», thus allowing the synthetic stone producers to market their products as «real» / «true» diamonds.

The rest of the world and the international ISO standards foresee that, for the purposes of clarity and the consumers’ benefit, this gemmological material should only be called  “synthetic diamond” the same as any other type of synthetic product. 
No other definition or simplification is allowed.
ISO 18323:2015

The cost of this material is currently 30-40% lower than natural stone but further reductions are foreseen due to its ever-greater distribution and a reduction in production costs.

Synthetic diamonds currently represent about 2% of the global market.
It is expected that, by 2030, this share will have risen to 10%.
For stones that weigh around 0.50-1.50 ct, suitable to be used as solitaires, that is, for engagement rings, a 7.5% share could already be reached in 2020.

The share could reach 15% in the next two years for «melee».

The distribution of this material in melee could be intensified by a progressive scarcity of diamonds extracted from mines, since the Argyle mine, which currently supplies the majority of the world’s small diamonds, is soon to be closed (almost totally exhausted).

It is therefore difficult at this moment in time to predict exactly how this material will affect the jewellery market.

From marketing studies, it would seem that new generations are positively in favour of using this new material in personal ornamentation.

The diamond is losing its appeal as a symbol of rarity and eternal love and is becoming a highly common gem.
Consumers are beginning to see synthetic diamonds as desirable: they can have much larger gems at lower prices and, above all, make an investment «without feeling guilty».
Considerable media campaigns to publicize these gems as much more ‘ethical’ than their natural counterparts, are underway. 
The younger generations, rightly oriented towards the environment and the non-exploitation of natural and, above all, human resources, are showing greater interest in this type of gem compared to past generations, who were more greatly concerned about the uniqueness and rarity of each jewellery item.

Big names from the entertainment and web worlds, such as Di Caprio, Lady Gaga, Penelope Cruz or the owners of Facebook, Twitter and eBay, have publicized or even financed synthetic diamond production facilities, believing in their future.
The Diamond Foundry, one of the latest US producers to appear on the market, has declared itself as the only producer currently supplying certified «carbon neutral» diamonds, since its stones are made in a hydroelectrically-powered plasma reactor.
The company claims that: “mine extraction has a greater impact on the environment than any other human activity. For every single carat of diamond mined, about 250 tons of earth must be excavated and this releases a considerable amount of atmospheric pollution with heavy carbon dioxide emissions.”

Through its LIGHTBOX brand, De Beers has started the on-line sale of a line of colourless, blue and pink synthetic diamond jewellery at a much lower cost, trying to secure a significant share of the global market (1.00 ct 800.00 US$ – 0.50 ct 400.00 US$ – 0.25 ct 250.00 US$).

More than 60% of those interviewed in studies would be willing to buy, or interested in buying, a synthetic diamond for an engagement ring due to the lower cost of the material which would allow them to have a larger stone at a lower cost.

Consumers with financial resources, traditionally more bound to the charm and mysticism of the unique and unrepeatable … now seem to be showing a lot of interest in this material.

Synthetic diamond producers have been able to arouse the interest of the so-called «millennials» by promoting Lab Grown Diamonds as high-tech, innovative and clean.

In every aspect of their lives, Millennials look for brands, companies and products that they believe to be transparent, social and respectful of the environment.

Nowadays, consumers no longer believe in the value of diamonds or of jewellery in general.
In fact, several factors have spread mistrust in the sector over the years.

  • Traders that lack transparency
  • Traders with a poor knowledge of the materials and market
  • Poor investment yield on diamonds
  • Few certainties

We must, however, bear in mind that: a natural diamond, even if poor in quality, will always have a potential buyer.
There is, on the other hand, no secondary market for synthetic diamonds, especially since diamond traders currently tend not to deal in them.
The «good bargain» aspect, or rather, the savings made on buying a synthetic diamond, becomes less tangible when you consider the fact that it will not be possible to re-sell it.

At the moment, the outlook is decidedly confusing and unclear.
World traders, given the economic interest that rotates around the natural material, are decidedly concerned and scared about the sudden distribution and by the number of media campaigns that feature synthetic diamond.

But, if we look at the past what is happening now was promoted in exactly the same way before when, at the beginning of the last century, DeBeers, through targeted media campaigns and movie stars (we could mention Marylin Monroe and phrases like «diamonds are a girl’s best friend» and «diamonds are forever»), disseminated the use of diamonds in jewellery so that they could become a «symbol of true and eternal love» for everyone.

It is therefore hard to answer the initial question but perhaps we could now pose another: “could synthetic diamond be an opportunity?”


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Lo scenario macroeconomico per il settore orafo

Lo scenario macroeconomico per il settore orafo

una relazione di Stefania Trenti

Il settore orafo italiano nel 2019

Fatturato e produzione positivi anche nel 2019

  • Secondo i dati ISTAT la produzione del settore gioielleria e bigiotteria ha registrato nei primi 10 mesi del 2019 una nuova forte crescita: +19,5%, per il terzo anno consecutivo. 
  • In forte aumento anche il fatturato: +11,4% tra gennaio e ottobre 2019. Il fatturato è in crescita per il decimo anno consecutivo.

 

Evoluzione del fatturato e della produzione del settore orafo (var.%)

Settore orafo: codice ATECO 32.1
*2018: gennaio – novembre
Fonte: Intesa Sanpaolo, elaborazioni su dati Istat

Prezzo dell’oro in crescita…

A partire dal mese di maggio la forte incertezza nello scenario globale ha comportato una significativa crescita del prezzo dell’oro che ha superato rapidamente i 1500 dollari oncia tra agosto e settembre per poi posizionarsi su livelli superiori alla media del 2018.
Nella media del 2019 il prezzo dell’oro è aumentato del 15,9% in euro e del 9,7% in dollari.

Quotazioni mensili dell’oro

Fonte: elab. Intesa Sanpaolo su dati LME

…con effetti negativi sulla domanda mondiale

La domanda mondiale di gioielli in oro ha reagito rapidamente al nuovo quadro dei prezzi, registrando una significativa contrazione nel terzo trimestre (-15,6%), in particolare sui due principali mercati (Cina e India) ed in Medio Oriente.

Domanda mondiale di gioielli in oro: var.% tendenziali (tonnellate)

Domanda mondiale di gioielli in oro: var.% tendenziali per paese

Fonte: Intesa Sanpaolo su dati World Gold Council – Gold Demand Trends

Ottime performance per l’export italiano…

Nei primi nove mesi del 2019, le esportazioni di gioielli in oro sono cresciute del 12,1% in quantità e dell’8,8% in valore in euro.

Evoluzione delle esportazioni di gioielli in oro (var.% tendenziale)

* Codici HS 711319 per oro e altri preziosi Fonte: Intesa Sanpaolo, elaborazioni su dati Istat

…con risultati positivi diffusi a (quasi) tutti i mercati…

Evoluzione delle esportazioni italiane di gioielli in oro (var.% tendenziale)

* Codici HS 711319 per oro e altri preziosi Fonte: Intesa Sanpaolo, elaborazioni su dati Istat

 

…e i distretti

Le esportazioni provinciali sono disponibili solo a livello più aggregato (inclusa la bigiotteria) e solo in valore (e non in quantità).
Tutti i territori hanno registrato una evoluzione positiva, con risultati più brillanti per Arezzo.

Esportazioni italiane di gioielli e bigiotteria* nel 2019 (var.%)

*Codice 32.1 Fonte: elab. su dati ISTAT

 

Il successo del lusso traina Svizzera, Francia e Italia

Quote sulle esportazioni mondiali di gioielli in oro* (%)
N.B. Al netto dei flussi verso e dagli Emirati Arabi Uniti e tra Cina e Hong Kong
*Codice 711319 Fonte: elab. su dati UNCTAD Comtrade

 

Ottimi risultati negli USA

Quote sulle importazioni USA di gioielli in oro* (%)
*Codice 711319 Fonte: elab. su dati US Trade

Le prospettive per i prossimi mesi

Commercio mondiale in ripresa, ma trend di crescita modesto

Le variazioni sono calcolate sull’indice mensile di commercio mondiale CPB. L’area ombreggiata indica le proiezioni. Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo

Le previsioni al 2021

  • Lieve ripresa nel primo semestre 2020 ma dato annuo inferiore al 2019 a causa di un effetto trascinamento penalizzante.
  • Attesa una leggera accelerazione (dei dati annui) nel 2021, anche grazie agli accordi sul commercio.

Le previsioni di crescita del PIL

Fonte: Refinitiv-Datastream ed elaborazioni Intesa Sanpaolo

Dall’Asia i primi segni di stabilizzazione del ciclo

L’indice anticipatore OCSE per la Cina conferma la svolta

Fonte: OECD

PMI manifatturiero Globale beneficia della ripresa dei Paesi emergenti

Fonte: IHS Markit

Ciclo USA: rallentamento controllato 

Crescita verso il potenziale

Fonte: Refinitiv-Datastream

Manifatturiero in via di stabilizzazione

Fonte: Refinitiv-Datastream

I consumatori sono ottimisti

Crescita dei consumi sostenuta da una dinamica solida del reddito disponibile

Fonte: Refinitiv Datastream

Le famiglie sono molto ottimiste

Fonte: Refinitiv Datastream

Il mercato del lavoro è la forza trainante dei consumi: disoccupazione sui minimi dal 1969

Il tasso di disoccupazione è sui minimi da fine 1969…

Fonte: Refinitiv Datastream

…con la dinamica salariale in accelerazione

Fonte: Refinitiv Datastream

I bilanci delle famiglie sono finalmente in ordine

Ricchezza netta in continuo aumento e tasso di risparmio sui livelli degli anni ‘90

Fonte: Refinitiv Datastream

Le famiglie hanno ridotto il loro debito, le imprese e il settore pubblico no

Fonte: Refinitiv Datastream

Area euro: domanda interna sostenuta da redditi reali e politiche fiscali

Crescita salariale e occupazione sostengono redditi e consumi

Fonte: Eurostat e proiezioni Intesa Sanpaolo

Saldo primario corretto per il ciclo: i budget 2020 mostrano un modesto allentamento (0,3% a livello di Eurozona)

Fonte: Commissione Europea

 

Domanda estera più favorevole nel 2020

Per l’area euro la domanda estera dovrebbe riprendersi parzialmente nei prossimi trimestri

Fonte: stime Intesa Sanpaolo e Oxford Economics

Italia: crescita ancora modesta

  • Per il 2020 ci aspettiamo una lieve accelerazione a 0,3% (0,4% non corretto per i giorni lavorativi), dallo 0,2% del 2019.
  • Attesa una crescita dello 0,5% nel 2021.

Il PIL è cresciuto negli ultimi trimestri nonostante una contrazione dell’attività industriale

Fonte: Refinitiv-Datastream, Istat ed elaborazioni Intesa Sanpaolo

Legge di bilancio: risorse destinate al blocco dell’IVA

Le modifiche dell’ultim’ora hanno visto un alleggerimento e un rinvio a luglio della plastic tax, uno slittamento a ottobre della sugar tax e un sostanziale azzeramento della stretta sulle auto aziendali. La manovra è salita a 32 miliardi.

Interventi (impatto in miliardi sul 2020)

Coperture (impatto in miliardi sul 2020)

Nota: effetto sull’indebitamento netto in miliardi
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su DPB 2020

Tenuta dei consumi grazie ad una buona dinamica del reddito disponibile

Contributi alla crescita delle varie componenti del PIL

Fonte: Refinitiv-Datastream, Istat ed elaborazioni Intesa Sanpaolo

Un ritorno alla crescita è possibile nel medio termine

Il calo dei tassi di interesse comporta, oltre a risparmi per lo Stato, anche una spinta alla crescita del PIL

La ri-accelerazione degli aggregati monetari (la cui svolta ha sempre anticipato quella del ciclo) fa sperare in un ritorno alla rescita del PIL nel medio termine

Nota: effetti cumulati di un calo di 100 punti-base dei rendimenti sui titoli di Stato a medio e lungo termine (circa in linea con quello registrato negli ultimi 6 mesi) sul PIL (deviazioni % rispetto al baseline) e sulla spesa per interessi della PA (in % del PIL).

Fonte: Banca d’Italia, MEF, elaborazioni Intesa Sanpaolo

Prezzo dei preziosi  

L’incertezza geopolitica dovrebbe continuare anche nel 2020 a sostenere il prezzo dell’oro che nelle nostre attese dovrebbe proseguire il percorso di consolidamento, rimanendo nella media del 2020 intorno ai 1500$/oncia troy, con potenziali rischi al rialzo derivanti dall’ampia liquidità sui mercati e da politiche monetarie espansive in tutte le aree.

Prezzo dell’oro ($/oncia troy)

Fonte: elab. su dati LME

Euro in lieve apprezzamento su USD in un orizzonte di 12 mesi

Fonte: Intesa Sanpaolo

Importanti comunicazioni

Gli economisti che hanno redatto il presente documento dichiarano che le opinioni, previsioni o stime contenute nel documento stesso sono il risultato di un autonomo e soggettivo apprezzamento dei dati, degli elementi e delle informazioni acquisite e che nessuna parte del proprio compenso è stata, è o sarà, direttamente o indirettamente, collegata alle opinioni espresse.

La presente pubblicazione è stata redatta da Intesa Sanpaolo S.p.A. Le informazioni qui contenute sono state ricavate da fonti ritenute da Intesa Sanpaolo S.p.A. affidabili, ma non sono necessariamente complete, e l’accuratezza delle stesse non può essere in alcun modo garantita. La presente pubblicazione viene a Voi fornita per meri fini di informazione ed illustrazione, ed a titolo meramente indicativo, non costituendo pertanto la stessa in alcun modo una proposta di conclusione di contratto o una sollecitazione all’acquisto o alla vendita di qualsiasi strumento finanziario. Il documento può essere riprodotto in tutto o in parte solo citando il nome Intesa Sanpaolo S.p.A.

La presente pubblicazione non si propone di sostituire il giudizio personale dei soggetti ai quali si rivolge. Intesa Sanpaolo S.p.A. e le rispettive controllate e/o qualsiasi altro soggetto ad esse collegato hanno la facoltà di agire in base a/ovvero di servirsi di qualsiasi materiale sopra esposto e/o di qualsiasi informazione a cui tale materiale si ispira prima che lo stesso venga pubblicato e messo a disposizione della clientela.

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The importance of grain size in jewelry alloys and its control

The importance of grain size in jewelry alloys and its control

a speech by Chris Corti

Abstract

Control of grain (crystal) size in jewellery manufacture is important for several reasons. It affects the properties of the alloys – mechanical, chemical and physical. These, in turn, influence the manufacturing process and the jewellery’s behaviour during wear by the customer.
There are a number of ways grain size (and shape) can be controlled in precious metal jewellery alloys – by casting, working and annealing and by use of alloying additives that refine the grain size during casting and during working and annealing. These are reviewed and discussed in terms of their mechanisms, ease of use and their effectiveness. Some of the problems that can arise from lack of control will also be discussed. The focus of the presentation will be on gold alloys but all precious metals are considered.

Introduction

Anyone involved in the making of jewellery should have an appreciation of the nature of the metals and alloys with which they work and understand how alloying and processing of the metals influences the microstructure and consequently their properties. For jewellery, we focus on the alloys of the precious metals – gold, silver, platinum and palladium, all four of which are inherently ductile metals – but what I say is of general validity and applies to most metals. 

Two fundamental points to understand are that1:

  • Alloy composition, microstructure and processing history are interrelated, Figure 1, and jointly influence an alloy’s properties, be they chemical (e.g. corrosion and tarnish resistance), physical (e.g. density, colour) or mechanical (e.g. strength, malleability, hardness). These, in turn, influence manufacturability and service performance.
  • Most metals and alloys are composed of many crystals, or grains as we metallurgists call them; thus, most alloys are polycrystalline. There are some rare exceptions such as single crystal aero turbine blades and amorphous or glassy metals. 

In this presentation, I want to focus on alloy macro- and micro-structures, particularly grain size and shape. How we can influence them by casting, alloying and by mechanical working and annealing? Why are they important?

Figure 1 – Interrelationship of alloy composition, microstructure and processing history on properties (schematic)

Importance of grain size to jewelry

As jewellers attending this Jewellery Technology Forum will know, metallurgists pay some attention to the crystal, or grain, size in their alloys. We talk about ‘large (or coarse) grains’ or small (or fine) grain sizes and generally state the desirability of the latter in terms of jewellery production. The terms ‘large’ and ‘small’ are, of course, relative. But for practical purposes, ‘Large’ will usually mean grains of the order of millimetres or larger and ‘small’ will refer to grain sizes of the order of tenths or hundredths of a millimetre (1 – 100 microns). You may also hear of grain sizes referred to in terms of an ASTM numerical value. This is a comparative method of measuring grain size. The higher the number, the smaller is the grain size.

Why is control of grain size (and shape) important? Well, it is down to the relation between the grains (crystals) and the grain boundaries – the region at the junction of adjacent grains – and their relative influence on mechanical deformation processes. Grain boundaries are where the atoms sitting on the crystal lattices of adjacent grains do not match across together, creating a narrow region of imperfect crystal, Figure 2. Often, these can be a preferred site for deleterious impurities and second phases, leading to embrittlement. At low or ambient temperatures, the deformation process under an imposed load is governed mainly by the dislocation slip mechanism within each grain (dislocations are linear crystal defects responsible for deformation on crystal slip planes). Without going into deep explanations, the outcome is that alloys with finer grains are stronger than those with large grains, and this effect is expressed by the Hall-Petch relationship in which yield strength, σy.s., is inversely related to the grain size squared:

σy.s. = m/d2 

where d is the average grain  diameter and m is a constant. The yield strength of a material (known also as the Elastic Limit or  proof stress) is the stress required to start plastic deformation and is smaller than the ultimate tensile strength (‘UTS’).

Thus, the jewellery is stronger and harder if it is fine-grained and, beneficially, it is also more ductile and less prone to cracking, impurity embrittlement and the ‘orange peel’ surface after deformation. As jewellery is generally only subject to relatively simple stresses (loads) at ambient temperatures, whether in a production environment or in service, a fine grain size is therefore desirable. This is generally true for other non-precious engineering components such as sheet steel for car bodies and white goods.

Figure 2 – Schematic of a grain boundary, showing the mismatch of crystal structure at the boundary

On the other hand, engineering components can be subjected to often-complex stresses over long periods at high temperatures; for example, turbine blades and disks in jet engines and boiler tubes in utility power stations.  At these high temperatures, the main deformation mechanisms are phenomena such as creep and fatigue. Creep is the slow deformation under a steady low stress or load and fatigue is the mechanical failure under an alternating load. The lead sealing on a tiled church roof is actually at a hot working temperature and so slowly creeps under its own weight.  Under such conditions, the grain boundaries are weaker and grains can slide over each other; hence, a large grain size is preferred as there is relatively less grain boundary area. In the ultimate, such as gas turbine blades, we prefer to eliminate grain boundaries, so we find use of directionally solidified alloys and even single crystal alloys for optimum creep and fatigue strength. An extreme of fine grain sizes is a phenomenon known as superplastic deformation, whereby alloys with stable, fine grain sizes can be gently deformed at temperature under low stresses to very large deformations, just like Swiss cheese fondue.  Several titanium aircraft components of complex shape are manufactured by this technique including the very large fan blades on Rolls Royce jet engines. Interestingly, fine-grained sterling silver can be superplastically deformed under the right conditions2 and I would expect some other precious metal alloys also to do likewise. But to date, that ability has not been developed or commercially exploited in our industry.

Examination of microstructure: metallography

As many of you will also know, we can examine the microstructure and measure the grain size of a piece of jewellery metal; due to the scale of this, it is often performed under an optical microscope. The process of examining grain size and general microstructure is called ‘metallography’. Figure 3 shows the microstructure of both as-cast and cold worked and recrystallized gold alloys. There are obvious differences in appearance and these will be explained later.

Figure 3 – Microstructure of typical karat gold alloys (a) as cast, (b) worked and annealed

Normally, if we wish to examine the macrostructure or microstructures of an alloy, we need a flat polished surface as optical microscopes have a limited depth of focus. In order to expose the features such as grain boundaries and second phases, we often need to etch the surface with a corrosive liquid such as acid. As grain boundaries are less perfect than the crystals, they etch preferentially to reveal themselves. As different crystals are oriented in different directions relative to the plane of the surface, they also etch at different rates and so appear of different contrast or colour to the eye. Where more than one phase is present, these also etch differently and usually show themselves as different colours or shades of darkness.

If we need greater magnification than we can get in an optical microscope to see the features of interest or we have an uneven surface such as a fracture, then we use a scanning electron microscope. Here flatness of the surface is not such an issue as in optical light microscopy and we can often see different phases by atomic number contrast, without the need for etching (see figure 22 in reference 3, for example)3,4. The heavier elements appear whiter under the SEM and the lighter ones darker, so giving rise to differences in contrast with varying alloy phase composition.

Casting

Melting and casting is a process for producing alloys of the desired composition and also for specific shapes. These can be either net shapes, as in investment (lost wax) casting, or stock materials, i.e. ingots, that can be further processed to modify the shape, structure and properties. Casting involves melting and the solidification of molten metal. Subsequent mechanical processing of ingot materials enables us to break down coarse, non-uniform structures to more desirable refined structures better suited to the purposes that we require in manufacture and in subsequent service and generally have improved, more consistent properties.

The structure of cast alloys depends on the rate at which we cool and solidify the metal which, in turn, depends on the size of the casting and the thermal conductivity of the mould material. Thus, the structure of large ingots will differ from that of small investment castings. We will explore the influence of casting conditions shortly.

Influence of solidification on grain size and shape

As has been mentioned before5,6, pure metals solidify at a fixed temperature; for example gold solidifies at 1064°C and silver at 962°C. Most alloys*, on the other hand, solidify over a temperature range: the liquidus temperature is the temperature above which the alloy is completely molten and is the temperature at which solidification starts on cooling; the solidus is the temperature at which solidification is completed and thus below this temperature the alloy is completely solid. Between the liquidus and solidus, alloys comprise some liquid and some solid, often known as the ‘mushy’ or pasty state. The characteristics of solidification and the resulting structure are influenced by the temperature gap between the liquidus and solidus and the overall phase diagram for the alloy system.

[*There are a few exceptions, such as eutectic alloys which also solidify at a fixed temperature like the pure metals]

To understand the process of solidification, it helps to understand the atomic structure of liquids and how atoms coalesce to form solid material. The liquid state comprises mobile atoms in a dynamic, unstructured state. Some atoms will come together briefly to form a small cluster but these quickly break up.

As we cool a liquid (molten metal in our case), small clusters of atoms come together and stay together to form a nucleus. The formation of nuclei tends to occur at preferred sites such as a mould wall or at impurity particles/inclusions but can occur   randomly in the melt.  As the temperature falls, more atoms join the small stable clusters of atoms that comprise the nuclei in a structured way that is the crystal lattice of that metal or alloy. For our precious metals, that will be in the face-centred cubic arrangement discussed in another presentation1. These are the embryonic crystals  (crystallites) that will make up our alloy. A fast cooling rate during solidification will lead to more nuclei forming and consequently, because each nuclei develops into a crystal or grain, a fine grain size results. A slow cooling rate leads to less nuclei forming and a resultant larger grain size. We should note that nucleation at inclusion particles is how insoluble grain refiners like iridium and ruthenium work in gold alloys, for example, by promoting nucleation.

These nuclei grow by adding more atoms from the liquid. They do so in preferred crystal directions, extending from the cube faces and branching out as the crystal grows. This results in a tree-like structure that we call a dendrite. All the nuclei grow into dendrites, each of which will have an orientation dependent on the orientation of the original nucleus. Each dendrite continues to grow until it collides with an adjacent dendrite. The interface between them forms a boundary. This we call the crystal boundary, or more usually, a grain boundary. Here, the atoms on each lattice do not fit together cleanly, so creating a thin region of imperfect crystal, as we have discussed earlier. Figure 4 shows some dendrites in a platinum alloy7. We can clearly see several dendrites, each pointing in different directions. We often see such dendrites in shrinkage cavities in investment casting. Provided there is feeding of more liquid metal, the spaces between dendrites eventually fill up to give solid metal. If there is restricted feed, then shrinkage cavities (porosity) will result.

Figure 4 – SEM image of dendrites in Pt-Ru alloy, seen in a shrinkage cavity  (from reference 7)

If we examine an etched metallographic section of a cast metal under the microscope, such as shown in Figure 3, we can clearly see the dendritic structure. We also note that the dendrite centre etches up differently to the outer zone; this is due to chemical segregation, whereby the metal that solidifies first has a different chemical composition from that which solidifies last. This is known as ‘coring’. Why that is so, we can readily explain from the phase diagram6.

When we pour molten metal into a mould, it begins to solidify inwards from the mould walls as this is the coldest temperature. If a cold metal (e.g. iron) mould is used, as is usual for ingot casting, the rate of heat removal is rapid. Initially, a thin layer of fine grains is formed – the chill layer –  because of the high rate of nucleation. Then long finger-like grains – called columnar grains – begin to grow inwards from the chill layer towards the centre of the ingot, Figure 5.

Figure 5 – Solidification proceeds inwards from the colder mould walls

Figure 6 – Grain structure of ingots cast into metal moulds at a relatively high pouring temperature

If the metal casting temperature is relatively high, this columnar growth will extend into the centre of the ingot, Figure 6. This is not a good structure if you are going to roll the ingot to plate or sheet, as it may split down the middle (known as alligatoring, Figure 7), as this is also where impurities will tend to concentrate as it is the last metal to solidify.

Figure 7 – Splitting of gold alloy ingot down the centre during rolling (‘alligatoring’)

Figure 8 – Grain structure of ingots cast into metal moulds at a relatively low pouring temperature

When a ceramic (plaster) muold is used, as in investment (lost wax) casting, the cooling rate is markedly slower and equiaxed grains are formed throughout the casting. This is a preferred microstructure. Temperature of melt and mould can play a role in determining the as-cast grain size. The higher the temperature, the coarser the grain size.

Refining cast microstructures by working to improve grain size

As we have seen, cast microstructures may not be optimum for manufacturing or service. Chemical segregation (‘coring’) and coarse structures can lead to poor mechanical and corrosion properties. So working of ingot material serves two purposes: (a) to change the physical shape to that desired (sheet, wire, etc) and (b) to refine the structure. This may involve breaking down coarse grain structures, reducing segregation and refining coarse second phases to smaller, more uniformly distributed ones.

Much of this is best achieved by hot working the material, by hot forging or rolling, extrusion and/or drawing or combinations of methods. This will refine the structure but leave it more or less in a soft annealed condition. In hot working, as the metal deforms, it is at a high enough temperature for it to recrystallize (anneal) during the deformation.

If we wish to impart additional hardness and improved strength as well as a more accurate shape and superior surface, then we cold work the material, usually at ambient temperature. Here the temperature is insufficient to promote annealing.

If we overwork a material, it can crack or fracture, so we need to anneal the hard worked material from time to time to restore the soft, ductile condition and enable further working. Annealing involves a process of recrystallization, where the hard deformed grains reform themselves into new undeformed grains by a nucleation and growth process analogous to solidification.

Cold working and annealing: influence on microstructure & grain size

Cold working of metals results in an overall shape change. This is reflected by a change in the microstructure, where the grains must deform to accommodate the change in shape. This is shown schematically in Figure 9 for reduction by rolling. To achieve this, planes of atoms in each grain (crystal) must slide over each other, Figure 10, via crystal defects called dislocations. Such sliding occurs over several crystal planes in a complex way.

Figure 9 – The effect of cold working on the microstructure of single phase alloys

Figure 10 – Simplified sketch of slip in a crystal lattice

We also see this deformation in the overall macrostructure: Figure 11 shows one-half of the cross-section of a washer in the process of being upset into a wedding band; the heterogeneity of deformation is evident in its fibrous appearance. Most cold-working processes result in uneven deformation through the cross-section. In rolling or extrusion, for example, most deformation occurs at the surface, especially if only small reductions per pass are imposed. Uneven deformation can give rise to initiation of cracking from the surface, as Battaini has explained8. Such non-uniform deformation can also have repercussions on the grain structure on subsequent annealing when the process of recrystallization takes place. Recrystallization results in new undeformed grains replacing the old deformed grains.  The fibrous cold-worked structure is replaced by recrystallized new grains, as can be seen in Figure 12.

Figure 11 – Macrostructure of cross-section of a nickel white gold washer after partial upsetting  towards making a wedding band (from reference 8)

Figure 12 – Recrystallized grains breaking up the fibrous cold-worked structure of washer in Figure 11 (from reference 8)

The resulting grain size after annealing depends on the amount of cold work, the annealing temperature and time. The more cold work, the finer is the recrystallised grain size. Annealing of material only cold-worked a small amount can result in large grains, which is undesirable (there is a critical minimum amount of cold-work necessary to initiate recrystallization, typically about 12-15% reduction). That is why annealing is often recommended only after substantial cold work, e.g. 60% reduction in thickness. The annealing temperature and time also play a part. Figure 13 shows a matrix of temperature and time of annealing for a 2N pale yellow 18 carat gold (cold-worked 70% reduction by rolling) and their effect on resulting annealed grain size (9). The variation in annealed grain size due to uneven amounts of deformation can be seen in Figure 14 which shows part of a cross-section of a ‘C’ shaped wire in an annealed 18 carat nickel white gold. The inside of the flange has a finer grain size and the outer regions have a coarser size, reflecting the uneven amount of deformation during rolling8. This may not be important in some instances, but it can be in others. Orange peel surfaces and cracking may result on further working, for example, where large grains are at the surface regions, as discussed earlier.

Figure 13 – Effect of temperature (horizontal axis) and time (vertical axis) on recrystallized grain size of a 2N 18 carat yellow gold (from reference 9)

Figure 15 shows schematically the effect of annealing temperature on hardness/strength , ductility and recrystallised grain size. An important point to note is that if the annealing temperature is too high, then grain growth can occur and very large grains can result. This is undesirable and can lead to the ‘orange peel’ rumpled surface and cracking on further working, as noted earlier. This can be a problem for craftsmen during gas torch annealing as there is less control of temperature during annealing and a tendency to overheat the piece.  14 carat coloured golds are especially prone to excessive grain growth during annealing, as Grimwade has noted10.

Figure 14 – Grain size variation in annealed cross-section of ‘C’ shaped cold rolled wire in 18 karat nickel white gold (from reference 8)

Figure 15 – Schematic: Annealing behaviour of cold-worked alloys as a function of annealing temperature. Note region of grain growth at high annealing temperatures

Two-phase alloys: Where an alloy consists of two (or more) phases, there is an effect on grain size after working and annealing. Working the alloy leads to a higher level of dislocations (crystal defects) in the matrix phase due to the presence of a hard second phase and this leads, in turn to a finer grain size after recrystallisation during annealing. Sterling silver is an example of a two-phase alloy. 

Where the second phase is very fine, i.e. very small in diameter, and evenly distributed within the matrix phase, such as in age hardened alloys or micro-alloys, the second phase may inhibit recrystallisation  as the fine particles of second phase can pin grain boundaries and so higher annealing temperatures may be necessary. In such alloys, a larger or more uneven grain size may result.

Alloying additions to refine grain size: grain refiners

Very small additions of grain refiners, typically at levels of about 0.1% or less, are often added to carat golds as fine powders to promote a fine grain size in the alloy. They include iridium, ruthenium and cobalt. Iridium and ruthenium are effective in casting, where they promote nucleation of crystals during solidification, and cobalt is effective during annealing of cold worked materials, where it promotes nucleation of grains during recrystallization. Iridium and ruthenium are insoluble in molten carat golds, so act as nucleation sites. Figure 16 shows the fine grain structure of an annealed 18 carat gold with iridium additions, compared to that without iridium. If too much is added or it is not well dispersed, one can get nests of hard particles at the surface that give rise to ‘comet tailing’ defects on polishing11. Note that grain refiners are not effective in silicon-containing carat gold alloys.

Figure 16 – Grain refining effect by iridium additions to an 18 ct gold. Left: with Ir, Right: without Ir (from reference 12)

The amount of cobalt that can be added is also sensitive to copper content of the alloy, as Ott has shown12. Its effect in grain refining a 14K gold is shown in Figure 17.

Other metals have also been shown to act as a grain refiner in gold alloys, such as boron, beryllium, yttrium and the rare earth metals, rhenium, rhodium, nickel, barium and zirconium13-16. In a more recent patent, a combination of iridium, rhodium and ruthenium added as a copper-master alloy is claimed to be effective17.

Figure 17 – Grain refining by cobalt in a 14ct gold. Left: with Co, Right: without Co (from reference 12)

Conclusion

In this presentation, it is concluded that, for jewellery manufacture, it is desirable to have a fine (small) grain size. It optimises strength and ductility and other properties such as corrosion resistance. Coarse grain sizes lead to ‘orange peel’ surfaces on subsequent deformation and enhance the tendency to crack as well as reducing strength, hardness and ductility. The yield strength is inversely proportional to the square of the grain size.

The influence of casting conditions on as-cast grain size and shape has been discussed in terms of nucleation of crystallites in the melt and solidification patterns. Melt temperature and mould material play an important role.

The influence of cold working on the as-cast macrostructure and the recrystallisation process during annealing has also been examined in terms of the resulting recrystallised grain size. Annealing temperature is an important factor to obtain a fine grain size. Too high a temperature can result in excessive grain growth, which is undesirable.

The use of grain refiners, such as iridium and cobalt  in carat golds, to obtain a finer grain size has also been demonstrated. The mechanism is enhanced nucleation of crystallites during solidification or  recrystallisation.

Acknowledgements

I would like to thank the organisers of the Jewellery Technology forum for inviting me to present once again and for their kind hospitality. I also thank many friends in the industry for allowing use of their figures and data. Many are courtesy of Mark Grimwade.

References

  1. Christopher W. Corti, “Basic Metallurgy of the Precious Metals – Part 1”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2017, ed Eddie Bell et al (Albuquerque: Met-Chem Research, 2017: 25-61. Also 2007: 77-108
  2. R.W.E. Rushforth, unpublished work, Johnson Matthey plc, 1978
  3. Stewart Grice, “Know your defects: The Benefits of understanding Jewelry Manufacturing Problems”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2007, ed Eddie Bell (Albuquerque: Met-Chem Research, 2007: 173-212
  4. Greg Normandeau, “Applications of the Scanning Electron Microscope for Jewelry Manufacturing”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2004, ed Eddie Bell (Albuquerque: Met-Chem Research, 2004: 345-388
  5. Mark Grimwade, “The Nature of Metals and Alloys” in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2001, ed Eddie Bell (Albuquerque: Met-Chem Research, 2001), 151-179.
  6. Mark Grimwade, “A Plaim Man’s Guide to Alloy Phase Diagrams: Their Use in Jewellery Manufacture – Part 1”, Gold Technology no 29, Summer 2000, 2-15. The author (Corti) can supply a pdf file of this on request
  7. John McCloskey, “Microsegregation in Pt-Co and Pt-Ru Jewelry alloys”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2006, ed Eddie Bell (Albuquerque: Met-Chem Research, 2006: 363-376
  8. Paulo Battaini, “Metallography in Jewlry Fabrication: How to avoid problems and improve Quality”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2007, ed Eddie Bell (Albuquerque: Met-Chem Research, 2007: 31-66
  9. Christian P.Susz, “Recrystallization in 18 carat gold alloys”, Aurum no 2, 1980, 11-14 The author (Corti) can supply a pdf file of this on request
  10. Mark Grimwade, Introduction to Precious Metals, Brynmorgan press, Maine, USA, 2009; ISBN978-1-929565-30-6
  11. Valerio Faccenda and Michele Condó, “Is ‘Pure’ Gold really Pure?”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2004, ed Eddie Bell (Albuquerque: Met-Chem Research, 2004), 135-150
  12. Dieter Ott, “Influence of Small Additions and Impurities on Gold and Jewelry Gold alloys”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 1997, ed Dave Schneller (Albuquerque: Met-Chem Research, 1997), 173-196; Also: ibid, Gold Technology, No 22, 1997, p31-38 and “Optimising Gold Alloys for the Manufacturing Process”, Gold Technology, No 34, 2002, 37-44
  13. W S Rapson & T Groenewald, Gold Usage, Academic Press, London, 1978. ISBN 0-12-581250-7
  14. W Truthe, US Patent 2,143,217, January 1939 (assigned to Degussa)
  15. P Johns, UK Patent 2434376A, July 2007
  16. C Raub & D Ott, German patent DE2803949A1, August 1979
  17. M Poliero & A Basso, US Patent 2015/03544029A1, December 2015

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Importanza del grano cristallino e del suo controllo nella gioielleria

Importanza del grano cristallino e del suo controllo nella gioielleria

una relazione di Chris Corti

Abstract

Il controllo delle dimensioni dei grani cristallini (o cristalliti) nella produzione gioielliera è importante per diversi motivi. Da esso dipendono le proprietà meccaniche, chimiche e fisiche delle leghe, che a loro volta influenzano il processo di produzione e le prestazioni d’uso del gioiello quando sarà indossato dal cliente.
Esistono vari modi per controllare le dimensioni (e la forma) dei grani nelle leghe di metalli preziosi: attraverso la fusione, i processi di lavorazione e la ricottura, nonché con l’uso di additivi alliganti che affinano le dimensioni dei grani durante i trattamenti e la ricottura. Questo documento illustra ed esamina i metodi disponibili, descrivendone i principi, l’usabilità e l’efficacia. Verranno descritti anche alcuni dei problemi dovuti al mancato controllo dimensionale dei grani. La presentazione si concentrerà in particolar modo sulle leghe d’oro, ma senza trascurare gli altri metalli preziosi.

Introduzione

Chiunque abbia a che fare con la realizzazione di gioielli deve conoscere la natura dei metalli e delle leghe impiegati nel settore, e capire come l’alligazione e le lavorazioni dei metalli influiscano sulla microstruttura e, di conseguenza, sulle proprietà di questi materiali. Per il comparto gioielleria, tratteremo in particolare le leghe di metalli preziosi (oro, argento, platino e palladio, tutti metalli estremamente duttili), ma ciò che dirò vale in generale per la maggior parte dei metalli.

Due principali concetti da tenere a mente sono1:

  • La composizione, la microstruttura e i procedimenti di lavorazione delle leghe sono interdipendenti (Figura 1) e, insieme, determinano le proprietà di una lega, siano esse chimiche (per esempio la corrosione e la resistenza all’annerimento), fisiche (densità e colore) o meccaniche (resistenza, malleabilità, durezza). Queste, a loro volta, influenzano la producibilità e le prestazioni d’uso.
  • La maggior parte di metalli e leghe è composta da cristalliti, o grani cristallini, come li chiamiamo noi metallurgisti; pertanto, quasi tutte le leghe sono policristalline. Esistono rare eccezioni di monocristalli, come le leghe impiegate nella fabbricazione di turbine per motori d’aereo, oppure i metalli amorfi (detti anche vetrosi). 

In questa presentazione, voglio concentrarmi sulle macro- e microstrutture delle leghe, in particolare sulle dimensioni e la forma dei grani. Come possiamo modificarle nei processi di fusione e alligazione, nelle lavorazioni meccaniche e nella ricottura? Perché sono importanti?

Figura 1 – Rappresentazione schematica dell’interrelazione fra composizione, microstruttura e procedimenti di lavorazione delle leghe, che ne determina le proprietà

Importanza delle dimensioni dei grani cristallini in gioielleria

Come ben sanno i gioiellieri presenti a questo Jewellery Technology Forum, i metallurgisti sono attenti alle dimensioni dei cristalliti, o grani cristallini, nelle loro leghe. Parliamo di “grani grossi” e “grani fini” e, in generale, diciamo di privilegiare questi ultimi per la produzione dei gioielli. I termini “grossi” e “fini” sono naturalmente relativi. Ai fini pratici, diciamo che “grosso” identifica i grani con dimensioni nell’ordine dei millimetri e “fine” i grani con dimensioni nell’ordine di decimi o centesimi di millimetro (1-100 micron). Le dimensioni dei grani possono essere misurate anche con valori numerici ASTM. Si tratta di un metodo comparativo per misurare le dimensioni dei grani. Più alto è il numero, più piccole sono le dimensioni dei grani.

Perché il controllo delle dimensioni dei grani (e della loro forma) è così importante? La risposta sta nella relazione tra i grani cristallini (cristalliti) e il “bordo di grano” – ovvero la linea di confine tra due grani adiacenti – e l’impatto che questi elementi hanno sui processi di deformazione meccanica. I bordi di grano sono le interfacce dove gli atomi del reticolo cristallino, appartenenti a grani adiacenti, non combaciano in modo omogeneo e creano una sorta di “imperfezione cristallina”, come illustrato nella Figura 2. Queste regioni, oltre ad accumulare impurità, sono più soggette a infragilimento. A temperatura ambiente o a temperature inferiori, il processo di deformazione del materiale sottoposto a un carico è governato essenzialmente dal meccanismo di propagazione delle dislocazioni (le dislocazioni sono difetti lineari della struttura cristallina, responsabili della deformazione lungo i piani di scorrimento). Senza entrare troppo nei dettagli, il risultato è che le leghe con grani più fini sono più resistenti di quelle a grani grossi; e questa caratteristica è espressa dalla legge di Hall-Petch, secondo cui la resistenza allo snervamento σs è inversamente proporzionale alla radice quadrata delle dimensioni del grano:

σs = m/d2

dove d è la dimensione media dei grani e m è una costante. La resistenza allo snervamento di un materiale (detta anche limite elastico o carico di snervamento, in inglese proof stress) è la sollecitazione richiesta per avviare una deformazione plastica ed è inferiore al carico di rottura UTS (Ultimate Tensile Strength).

I gioielli, quindi, sono più duri e resistenti se hanno un grano fine e, al tempo stesso, sono anche più duttili e meno soggetti a incrinature, infragilimento causato da impurità e spellamento superficiale dopo una deformazione. Poiché di norma i gioielli sono esposti a tensioni (carichi) relativamente semplici a temperature ambiente, sia in fase di produzione che durante l’uso, è preferibile scegliere materiali a grano fine. Questa regola di massima vale anche per i componenti ingegneristici non preziosi, come le lamiere metalliche per le carrozzerie delle auto e gli elettrodomestici.

Figura 2 – Rappresentazione schematica di un bordo di grano, dove è evidente l’irregolarità della struttura cristallina lungo la linea di interfaccia

Esistono però dei casi in cui i componenti ingegneristici sono soggetti a tensioni anche molto complesse, per lunghi periodi di tempo e ad alte temperature; per esempio le turbine e i dischi nei motori aeronautici e i tubi delle caldaie nelle centrali elettriche. A temperature così elevate, i principali fenomeni di deformazione sono lo scorrimento viscoso (creep) e la fatica. Lo scorrimento viscoso è la lenta deformazione di un materiale sottoposto a uno sforzo di entità non elevata ma costante; la fatica è la progressiva degradazione e rottura di un materiale sottoposto a carichi variabili nel tempo. Le sigillature in piombo nel tetto in tegole di una chiesa sono un esempio di metallo esposto ad alte temperature, che progressivamente si deforma sotto il suo peso. In queste condizioni, i bordi di grano si indeboliscono e possono scorrere l’uno sull’altro; ecco perché in questi casi è meglio avere dei grani più grossi, in modo da ridurre l’area dei bordi. Nelle applicazioni più gravose, come le palette rotanti delle turbine a gas, si preferisce eliminare del tutto i bordi di grano, utilizzando invece leghe solidificate direzionalmente e leghe monocristalline con un’ottima resistenza alla fatica e allo scorrimento viscoso. Una peculiarità di alcune leghe con grani molto fini e stabili è la cosiddetta “superplasticità”, ossia la capacità di deformarsi in modo molto esteso e progressivo, in particolari condizioni di temperatura, se sottoposte a tensioni di bassa entità – un po’ come la fonduta di formaggio svizzera! Diversi componenti in titanio per l’aeronautica, con forme complesse, vengono prodotti con questa tecnica, come per esempio le grandi palette dei motori Rolls Royce per gli aerei. È interessante notare come l’argento sterling a grano fine, in particolari condizioni2, possa subire una deformazione superplastica. Suppongo quindi che anche altre leghe di metalli preziosi abbiano la stessa capacità; ma finora questo aspetto non è stato sviluppato né sfruttato commercialmente nel nostro settore.

Esame della microstruttura: metallografia

Come molti di voi sapranno, siamo in grado di esaminare la microstruttura e misurare le dimensioni dei grani dei metalli utilizzati in gioielleria. Questo normalmente viene fatto con un microscopio ottico. L’esame delle dimensioni dei grani e della microstruttura dei materiali metallici è materia di studio della “metallografia”. La Figura 3 mostra la microstruttura di una lega d’oro in condizioni “as cast” e dopo lavorazione a freddo e ricristallizzazione. L’aspetto dei due campioni è molto diverso; spiegheremo più avanti perché.

Figura 3 – Microstruttura di una lega d’oro (a) in condizioni “as cast” e (b) dopo lavorazione e ricottura

Normalmente, se vogliamo esaminare la macrostruttura o le microstrutture di una lega, dobbiamo prendere una superficie piana e levigata, dato che i microscopi ottici hanno una profondità di fuoco limitata. Per osservare elementi come i bordi di grano e le seconde fasi, spesso è necessario erodere la superficie con un liquido corrosivo, tipo un acido. Poiché i bordi di grano sono meno perfetti dei cristalli, intaccando la superficie si rivelano facilmente. Dato che i cristalli sono orientati in diverse direzioni rispetto al piano della superficie, anche loro vengono erosi in progressione successiva e quindi, rivelandosi, creano dei contrasti o appaiono di colore diverso all’occhio umano. Se è presente più di una fase, anche queste fasi si rivelano in modo diverso con l’erosione e di solito appaiono di colori diversi oppure alcune sono più scure di altre.

Se occorre un maggiore ingrandimento rispetto a ciò che possiamo ottenere con un microscopio ottico, oppure se vogliamo osservare una superficie irregolare come per esempio una frattura, utilizziamo un microscopio elettronico a scansione (SEM). In questo caso poco importa se la superficie non è liscia e piatta come nella microscopia ottica; anzi, possiamo osservare le diverse fasi attraverso un contrasto che rappresenta le differenze nel numero atomico, senza bisogno di intaccare la superficie con un acido (vedi per esempio la Figura 22 nel riferimento bibliografico 3)3,4. Gli elementi più pesanti risultano più bianchi al microscopio elettronico, mentre quelli più leggeri sono più scuri: questo crea dei contrasti che variano in base alla composizione delle fasi delle leghe.

Fusione e colata

Attraverso i processi di fusione e colata si possono produrre leghe della composizione desiderata e con forme specifiche. Può trattarsi di forme ben precise, come nella fusione a cera persa, oppure di semilavorati, come nella colata in pani, che verranno ulteriormente lavorati per modificarne la forma, la struttura e le proprietà. La colata prevede la fusione e poi la solidificazione del metallo fuso. Le successive lavorazioni meccaniche dei pani (o lingotti) ci permettono di rompere le strutture grossolane non uniformi per ottenere strutture più raffinate e quindi più adatte al tipo di produzione che ricerchiamo e alla destinazione d’uso, migliorando fra l’altro anche le proprietà dei materiali.

La struttura delle leghe pressofuse dipende dalla velocità a cui il metallo viene fatto raffreddare e solidificare – la quale, a sua volta, dipende dalle dimensioni dello stampo e dalla conducibilità termica del materiale pressofuso. Per questo, la struttura dei grandi pani è diversa da quella delle piccole fusioni a cera persa. Tra poco vedremo come le condizioni di colata influiscono sui materiali.

Effetti della solidificazione su dimensioni dei grani e forma

Come noto5,6, i metalli puri solidificano a una temperatura fissa: per esempio l’oro solidifica a 1064°C e l’argento a 962°C. La maggior parte delle leghe*, invece, solidifica in un intervallo di temperature: la temperatura del liquidus è la temperatura al di sopra della quale la lega è completamente fusa e al di sotto della quale inizia la solidificazione; il solidus è la temperatura alla quale la solidificazione è completa e quindi, al di sotto di questo valore, la lega è completamente solida. Nei punti intermedi tra liquidus e solidus, la lega ha delle parti liquide e delle parti solide e si trova quindi in uno stato “pastoso”. Le caratteristiche di solidificazione e la struttura che ne deriva sono influenzate dal divario di temperatura tra liquidus e solidus e dalla distribuzione delle fasi.

[*Ci sono alcune eccezioni, come le leghe eutettiche che solidificano a una temperatura fissa come i metalli puri.] 

Per capire il processo di solidificazione, è utile conoscere la struttura atomica e il modo in cui gli atomi si uniscono per formare il materiale solido. Nello stato liquido, gli atomi si muovono in uno schema dinamico e non strutturato. Alcuni atomi si uniscono per breve tempo, formando un piccolo agglomerato, ma poi subito si separano. 

Quando raffreddiamo un liquido (nel nostro caso un metallo fuso), i piccoli agglomerati di atomi si uniscono e restano coesi, formando un nucleo. La formazione di nuclei tende a verificarsi in siti precisi, per esempio in vicinanza delle pareti dello stampo e intorno a particelle di impurità/inclusioni; ma può avvenire anche in punti casuali della massa liquida. A mano a mano che la temperatura scende, sempre più atomi si aggiungono ai piccoli agglomerati stabili che formano i nuclei, unendosi in modo strutturato e dando così vita al reticolo cristallino del metallo o della lega. Nel caso dei metalli preziosi, si forma il sistema cubico faccia-centrato che è stato già trattato in un’altra presentazione1. A questo punto abbiamo gli embrioni di cristalli (cristalliti) che costituiscono la nostra lega. Una rapida velocità di raffreddamento durante la solidificazione dà luogo alla formazione di un maggior numero di nuclei; di conseguenza – poiché ogni nucleo si evolve in un cristallite o grano – avremo una struttura a grano fine. Se la velocità di raffreddamento è più lenta, si formeranno meno nuclei e avremo una struttura più grossolana. Proprio perché la nucleazione avviene intorno a particelle/inclusioni, spesso si aggiungono degli affinatori di grano insolubili, come l’iridio e il rutenio nelle leghe d’oro, per favorire la formazione di nuclei stabili.

I nuclei crescono con l’aggiunta di nuovi atomi dal materiale liquido, che si uniscono secondo le direzioni preferenziali del cristallo, estendendosi dalle facce dei cubi in progressive ramificazioni. Il risultato è una struttura arborescente chiamata “dendrite”. Tutti i nuclei si sviluppano in dendriti, ognuna delle quali ha un orientamento che dipende dall’orientamento del nucleo originario. Ogni dendrite continua a crescere finché non collide con una dendrite adiacente. La linea di contatto tra le due forma un bordo, che chiamiamo “bordo di grano”, ovvero l’interfaccia tra due grani cristallini o cristalliti. Qui, gli atomi di ciascun reticolo non si innestano in modo ordinato e uniforme, ma creano una sottile regione di imperfezione cristallina, di cui abbiamo già parlato in precedenza. La Figura 4 mostra alcune dendriti in una lega di platino7. Si vedono chiaramente diverse dendriti, ognuna delle quali punta verso una direzione diversa. Vediamo spesso queste dendriti nelle cavità di ritiro delle fusioni a cera persa. Se viene alimentato altro metallo liquido, gli spazi tra le dendriti via via si chiudono fino a ottenere il metallo solido. Se non si aggiunge una quantità sufficiente di metallo liquido, resteranno delle cavità di ritiro e quindi delle porosità.

Figura 4 – Immagine SEM di dendriti in una lega Pt-Ru, osservate in una cavità di ritiro (tratta dal rif. 7, vedi Nota bibliografica)

Se esaminiamo una sezione di metallo pressofuso dopo averne trattato la superficie con un corrosivo, come quella nella Figura 3, vediamo chiaramente la struttura dendritica. Notiamo anche che il centro delle dendriti viene intaccato in modo diverso dalle zone esterne; questo è dovuto al fenomeno della segregazione chimica, ovvero il metallo che solidifica prima ha una composizione chimica diversa da quello che solidifica dopo. È il cosiddetto “coring”. Perché questo accada si deduce dalla rappresentazione schematica delle fasi6

Quando versiamo del metallo fuso in uno stampo, la solidificazione inizia vicino alle pareti dello stampo, dove la temperatura è più bassa, procedendo poi verso l’interno. Se si utilizza uno stampo metallico freddo (per esempio in ferro), come si fa di solito per le colate in pani nelle lingottiere, la velocità di raffreddamento è rapida. Dapprima si forma un sottile strato a grano fine (chill layer) a causa dell’alta velocità di nucleazione, poi iniziano a formarsi dei grani più lunghi e sottili, chiamati “grani colonnari”, dall’esterno verso l’interno – dal chill layer verso il centro del lingotto (Figura 5).

Figura 5 – La solidificazione inizia dalle pareti dello stampo, più fredde, e procede verso l’interno

Figura 6 – Struttura dei grani di un metallo colato in una lingottiera a temperatura relativamente alta

Se la temperatura della colata metallica è relativamente alta, la zona colonnare, formata da grani allungati, si estende fino al centro del lingotto (Figura 6). Non è una struttura auspicabile se il lingotto dovrà essere poi laminato, poiché potrebbe fratturarsi nel mezzo (fenomeno del cosiddetto alligatoring, Figura 7), la zona dove fra l’altro tendono a concentrarsi le impurità, poiché è l’ultima porzione del metallo a solidificarsi.

Figura 7 – Frattura a cerniera (alligatoring) di un pane in lega d’oro durante la laminazione

Viceversa, se la temperatura della colata metallica è bassa, la nucleazione avviene con una distribuzione più uniforme nella restante massa liquida, prima che i grani colonnari raggiungano il centro, e si ha una struttura più equiassica nella regione centrale (Figura 8).

Figura 8 – Struttura dei grani di un metallo colato in una lingottiera a temperatura relativamente bassa

Quando si utilizza uno stampo ceramico (gesso), come nelle fusioni a cera persa, la velocità di raffreddamento è nettamente più lenta e si formano grani equiassici in tutta la colata. Questa microstruttura è migliore. La temperatura della fusione e dello stampo hanno quindi un ruolo importante nel determinare le dimensioni dei grani in condizioni “as cast”. Più alta è la temperatura, più grossolane saranno le dimensioni dei grani.

Affinare le microstrutture delle pressofusioni ottimizzando le dimensioni dei grani

Come si è visto, non sempre le microstrutture dei metalli pressofusi sono ottimali per la produzione e le applicazioni previste. La segregazione chimica (coring) e le strutture grossolane possono compromettere le proprietà meccaniche e la resistenza alla corrosione. Si interviene quindi sui semilavorati in pani, con due obiettivi: (a) dare al metallo la forma desiderata (lamina, filo, ecc.) e (b) affinare la struttura. Questo può voler dire rompere i grani più grossi, ridurre la segregazione e affinare le seconde fasi più grossolane per ottenere strutture con distribuzione più uniforme e grani più piccoli. 

Gran parte di questi risultati si ottiene attraverso la lavorazione a caldo del materiale: tramite forgiatura e laminazione, estrusione e/o trafilatura, o con combinazioni di più metodi. In questo modo si affina la struttura e il metallo, addolcito dalla ricottura, è più morbido e duttile. Nelle lavorazioni a caldo, il metallo, deformandosi, raggiunge temperature sufficientemente alte perché avvenga una ricristalizzazione (ricottura) durante la deformazione.

Se vogliamo aumentare la durezza e la resistenza, impartendo una forma più accurata e una migliore qualità superficiale, allora dobbiamo lavorare a freddo il materiale, di solito a temperatura ambiente. In questo caso la temperatura è insufficiente per innescare la ricottura. 

Se lavoriamo troppo un metallo, si possono aprire cricche e fratture; quindi dobbiamo di tanto in tanto ricuocere il metallo lavorato per ripristinare quelle condizioni di morbidezza e duttilità che consentono un’ulteriore lavorazione. La ricottura comporta la ricristalizzazione del materiale, in cui i grani deformati si ricostituiscono e formano nuovi grani non deformati attraverso un processo di nucleazione e crescita analogo a quello della solidificazione.

Lavorazioni a freddo e ricottura: effetti su microstruttura e dimensioni dei grani

Con la lavorazione a freddo, la forma dei metalli cambia e cambia anche la microstruttura del materiale, perché i grani devono subire una deformazione per adeguarsi alla nuova forma. La Figura 9 rappresenta schematicamente una riduzione dello spessore per effetto della laminazione. Per ottenere questo risultato, i piani di atomi in ciascun grano (cristallite) devono scorrere l’uno sull’altro, come illustrato nella Figura 10, sfruttando i difetti cristallini rappresentati dalle cosiddette “dislocazioni”. Lo scorrimento avviene su più piani, in maniera complessa.

Figura 9 – Effetto della lavorazione a freddo sulla microstruttura delle leghe monofasiche

Figura 10 – Rappresentazione schematica dello scorrimento in un reticolo cristallino

Vediamo questa deformazione anche nella macrostruttura generale: la Figura 11 mostra la sezione di un anello durante la lavorazione di upsetting che lo trasformerà in una fede nuziale; l’eterogeneità della deformazione è evidente nel suo aspetto fibroso. La maggioranza dei processi di lavorazione a freddo dà luogo a deformazioni disomogenee visibili in sezione. Nella laminatura e nell’estrusione, per esempio, la deformazione avviene principalmente in superficie, specie se con ogni passata la riduzione impressa è minima. Una deformazione disomogenea può provocare rotture che partono dalla superficie, come ha ben spiegato Battaini8. Le deformazioni non uniformi possono avere ripercussioni anche sulla struttura dei grani nella successiva ricottura, quando avviene il processo di ricristallizzazione. Con la ricristallizzazione, i vecchi grani deformati sono sostituiti da nuovi grani non deformati. Durante la ricristallizzazione, la struttura fibrosa lavorata a freddo viene sostituita da nuovi grani, come si vede nella Figura 12.

Figura 11 – Macrostruttura di un anello in oro bianco nichelato dopo una parziale deformazione di upsetting per la realizzazione di una fede nuziale (tratta dal rif. 8, vedi Nota bibliografica)

Figura 12 – Grani ricristallizzati che sostituiscono la struttura fibrosa del metallo lavorato a freddo nella Figura 11 (tratta dal rif. 8, vedi Nota bibliografica)

Le dimensioni dei grani risultanti dopo la ricottura dipendono dall’entità della lavorazione a freddo, dalla temperatura di ricottura e dal tempo. Più il metallo viene lavorato a freddo, più fine sarà la struttura dei grani ricristallizzati. Se la lavorazione a freddo prima della ricottura è troppo breve, i grani restano ancora grossi, il che non è auspicabile (esiste una “soglia critica” minima di lavorazione a freddo necessaria per dare luogo alla ricristallizzazione, tipicamente una riduzione del 12-15%). Per questo si raccomanda di effettuare la ricottura solo dopo una buona lavorazione a freddo, per esempio una riduzione di spessore del 60%. Anche la temperatura e il tempo di ricottura giocano un ruolo determinante. La Figura 13 riporta una matrice di temperatura e tempo di ricottura per un oro a 18 carati giallo pallido 2N (laminato a freddo per ridurre del 70% il suo spessore), con l’effetto delle due variabili sulle dimensioni dei grani dopo la ricottura (9). La Figura 14 mostra la variazione delle dimensioni dei grani in seguito a ricottura, dovuta a una deformazione disomogenea, nella sezione di un filo a “C” in oro bianco nichelato a 18 carati. L’interno della flangia ha grani più fini mentre le regioni periferiche hanno grani più grossi, a causa della deformazione non uniforme durante la laminazione8. Questo può essere importante in alcune situazioni e meno importante in altre. Lavorando ulteriormente il metallo, per esempio, si potrebbero avere spellamenti e fratture nelle regioni superficiali a grani grossi, come detto in precedenza.

Figura 13 – Effetto della temperatura (asse orizzontale) e del tempo (asse verticale) sulle dimensioni dei grani ricristallizzati di un oro a 18 carati giallo pallido 2N (tratta dal rif. 9, vedi Nota bibliografica)

La Figura 15 illustra schematicamente l’effetto della temperatura di ricottura su durezza/resistenza, duttilità e dimensioni dei grani ricristallizzati. È importante notare che, se la temperatura di ricottura è troppo elevata, si ha una crescita dei grani e al termine del processo si potrebbero avere grani troppo grossi, che compromettono le caratteristiche del materiale e possono causare spellamenti e cricche in caso di ulteriori lavorazioni, come già osservato. Questo può comportare problemi per gli artigiani che lavorano con la torcia a gas, poiché c’è un minor controllo della temperatura durante la ricottura e in genere si tende a surriscaldare il pezzo. Gli ori colorati a 14 carati sono particolarmente soggetti a un’eccessiva crescita dei grani durante la ricottura, come sottolinea Grimwade10.

Figura 14 – Variazione delle dimensioni dei grani in una sezione di filo a “C” in oro bianco nichelato a 18 carati, laminato a freddo e ricotto (tratta dal rif. 8, vedi Nota bibliografica)

Figura 15 – Rappresentazione schematica del comportamento di leghe lavorate a freddo e ricotte, in funzione della temperatura di ricottura. Si noti la regione di crescita dei grani a elevate temperature di ricottura

Leghe bifasiche: se la lega è composta da due (o più) fasi, i processi di lavorazione e ricottura hanno un impatto sulle dimensioni dei grani. La lavorazione delle leghe determina un aumento della dislocazione (difetti cristallini) nella matrice, dovuto alla presenza di una seconda fase più dura; questo porta, a sua volta, a una riduzione delle dimensioni dei grani dopo la ricristallizzazione in seguito a ricottura. Un esempio di lega bifasica è l’argento sterling.

Se la seconda fase ha una struttura molto fine, cioè grani di piccolo diametro uniformemente distribuiti (come nelle leghe indurite per invecchiamento e nelle microleghe), la seconda fase può inibire la ricristallizzazione, poiché le particelle fini della seconda fase “bloccano” i bordi di grano rendendo necessario un aumento della temperatura di ricottura. In queste leghe può formarsi una struttura a grani più grossi o irregolari.

Affinatori di grano per compattare la lega aumentando i punti di nucleazione

Per ottenere un grano più fine nelle leghe d’oro, spesso si aggiungono minime quantità di “affinatori di grano” in polvere fine (normalmente lo 0,1% o percentuali inferiori). Si tratta per esempio di iridio, rutenio e cobalto. L’iridio e il rutenio sono efficaci nella fusione, dove favoriscono la nucleazione dei cristalli durante la solidificazione; il cobalto è utile nella ricottura dei materiali lavorati a freddo, poiché favorisce la nucleazione dei grani durante la ricristallizzazione. Iridio e rutenio sono insolubili negli ori fusi e fungono quindi da siti di nucleazione. La Figura 16 mostra la struttura a grano fine di un oro a 18 carati addizionato di iridio, dopo la ricottura, in confronto a uno senza iridio. Se la quantità di affinatore è eccessiva o non è ben dispersa, si possono formare coalescenze di puntini duri a livello superficiale, che danno luogo al difetto noto come “effetto cometa” in fase di lucidatura11. Va ricordato che gli affinatori di grano non sono efficaci nelle leghe d’oro contenenti silicio.

Figura 16 – Effetto dell’iridio come affinatore di grano in un oro a 18 carati. A sinistra: con Ir; a destra: senza Ir (tratta dal rif. 12, vedi Nota bibliografica)

La quantità di cobalto addizionabile dipende anche dal contenuto in rame della lega, come dimostrato da Ott12. La Figura 17 mostra il suo effetto affinatore in un oro a 14 carati.

Anche altri metalli hanno dimostrato di avere capacità di affinamento del grano nelle leghe d’oro: per esempio boro, berillio, ittrio e i metalli rari, renio, rodio, nichel, bario e zirconio13-16. Recentemente è stato brevettato un mix di iridio, rodio e rutenio che, aggiunto alle leghe primarie di rame, agirebbe da affinatore di grano17.

Figura 17 – Aggiunta di cobalto come affinatore di grano in un oro a 14 carati. A sinistra: con Co; a destra: senza Co (tratta dal rif. 12, vedi Nota bibliografica)

Conclusione

In questa presentazione abbiamo spiegato perché, in gioielleria, sia preferibile avere una struttura cristallina a grano fine (cioè con grani di piccole dimensioni), che ottimizza resistenza, duttilità e altre caratteristiche dei materiali, come la resistenza alla corrosione. Una struttura grossolana può portare a difetti come lo spellamento superficiale nelle successive deformazioni, aumentare il rischio di fratturazione e ridurre resistenza, duttilità e durezza. La resistenza allo snervamento è inversamente proporzionale al quadrato delle dimensioni dei grani.

Abbiamo visto come le condizioni di fusione e colata incidano sulle dimensioni e la forma dei grani “as cast”, influenzando la nucleazione dei cristalliti nella massa fusa e il processo di solidificazione. Un ruolo importante giocano anche la temperatura di fusione e il materiale dello stampo.

Abbiamo esaminato gli effetti delle lavorazioni a freddo sulla macrostruttura dei metalli in condizioni “as cast” e la ricristallizzazione per ricottura, soffermandoci sulle dimensioni dei grani ricristallizzati. La temperatura di ricottura è determinante per ottenere un grano fine. Una temperatura troppo elevata può innescare un’eccessiva crescita dei grani, con conseguenze indesiderate.

L’aggiunta di affinatori di grano, come l’iridio e il cobalto, è molto utile per affinare la struttura delle leghe d’oro. Questi elementi favoriscono la nucleazione dei cristalliti in fase di solidificazione e ricristallizzazione.

Ringraziamenti

Ringrazio gli organizzatori del Jewellery Technology Forum per avermi voluto ancora una volta come relatore e per la cordiale accoglienza. Grazie anche ai molti amici del settore che mi hanno permesso di usare le loro illustrazioni e i loro dati, molti dei quali gentilmente concessi da Mark Grimwade.

Nota bibliografica

  1. Christopher W. Corti, “Basic Metallurgy of the Precious Metals – Part 1”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2017, cur. Eddie Bell et al. (Albuquerque: Met-Chem Research, 2017), 25-61. Anche 2007: 77-108.
  2. R.W.E. Rushforth, opera inedita, Johnson Matthey Plc, 1978.
  3. Stewart Grice, “Know your defects: The Benefits of Understanding Jewelry Manufacturing Problems”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2007, cur. Eddie Bell (Albuquerque: Met-Chem Research, 2007), 173-212.
  4. Greg Normandeau, “Applications of the Scanning Electron Microscope for Jewelry Manufacturing”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2004, cur. Eddie Bell (Albuquerque: Met-Chem Research, 2004), 345-388.
  5. Mark Grimwade, “The Nature of Metals and Alloys”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2001, Eddie Bell (Albuquerque: Met-Chem Research, 2001), 151-179.
  6. Mark Grimwade, “A Plain Man’s Guide to Alloy Phase Diagrams: Their Use in Jewellery Manufacture – Part 1”, Gold Technology29, estate 2000, 2-15. Su richiesta, l’autore (Corti) può fornire un documento PDF di questa pubblicazione.
  7. John McCloskey, “Microsegregation in Pt-Co and Pt-Ru Jewelry Alloys”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2006, cur. Eddie Bell (Albuquerque: Met-Chem Research, 2006), 363-376.
  8. Paulo Battaini, “Metallography in Jewelry Fabrication: How to Avoid Problems and Improve Quality”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2007, cur. Eddie Bell (Albuquerque: Met-Chem Research, 2007), 31-66.
  9. Christian P. Susz, “Recrystallization in 18 Carat Gold Alloys”, Aurum N.2, 1980, 11-14. Su richiesta, l’autore (Corti) può fornire un documento PDF di questa pubblicazione.
  10. Mark Grimwade, Introduction to Precious Metals, Brynmorgan Press, Maine, USA, 2009; ISBN978-1-929565-30-6.
  11. Valerio Faccenda e Michele Condò, “Is ‘Pure’ Gold really Pure?”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 2004, Eddie Bell (Albuquerque: Met-Chem Research, 2004), 135-150.
  12. Dieter Ott, “Influence of Small Additions and Impurities on Gold and Jewelry Gold Alloys”, in The Santa Fe Symposium on Jewelry Manufacturing Technology 1997, Dave Schneller (Albuquerque: Met-Chem Research, 1997), 173-196. Anche: ibid., Gold Technology N.22, 1997, 31-38; e “Optimising Gold Alloys for the Manufacturing Process”, Gold Technology N.34, 2002, 37-44.
  13. S. Rapson e T. Groenewald, Gold Usage, Academic Press, Londra, 1978; ISBN 0-12-581250-7.
  14. Truthe, brevetto americano 2.143.217, gennaio 1939 (attribuito a Degussa).
  15. Johns, brevetto britannico 2434376A, luglio 2007.
  16. Raub e D. Ott, brevetto tedesco DE2803949A1, agosto 1979.
  17. Poliero e A. Basso, brevetto americano 2015/03544029A1, dicembre 2015.

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Jewels from 2020 – Designing innovation

Jewels from 2020 – Designing innovation

a speech by Beatriz Biagi

Jewellery trends evolve slowly. While other industrial sectors develop and adopt technological innovations quickly, the fine jewellery sector around the globe largely sticks to “same old” production and commercial procedures, feeling no urge to change. Cultural and security issues play a major role in both, keeping fine jewellery a priority for established customers and failing to address a growing number of potential customers.

Over the past 3 decades customer attitudes towards precious jewellery have not changed significantly for a large majority of rooted customers, for whom jewellery purchasing follows the cultural affinity matured over centuries and is essentially linked to special occasions, investment and heritage. This will most probably remain unvaried in the future, as long as the precious materials used are considered highly valuable. And as long as this customer segment remains big enough to justify keeping business practices unvaried. However, there are enough trend indicators showing that expectations are different for a growing number of clients and that what jewellery and luxury products represent will change over the next decades.

During the last 15 years it has become evident that the two major factors inducing a shift in our lives are Technology and Sustainability. We have observed new areas of opportunity being addressed often by newcomers and start-ups also in the fine jewellery scenario.  Precious wearable technologies, medical and communication devices, digital marketplaces and on-demand productions have steadily grown, bringing innovation into the international jewellery scenario.

As predicted in 2006, Sustainability has permeated across all products and is becoming a mainstream trend, as environmental and ethical awareness persistently grows. Although ethical correctness rises operation costs, there is ground to believe that customers will be willing to pay a premium for transparency and sustainability in jewellery or rather spend their disposable income in products and services of brands that adopt and can guarantee best practices. Putting sustainability as a priority by clients is a still quite irrelevant purchasing attitude in the jewellery business, but will gain importance in the years to come.

It is clear that in a luxury business based on gems and metals, environmental sustainability and ethical issues are not necessarily embedded in the system. Nevertheless, many companies are embracing the urge to protect the sources of the materials used, specially when talking about gems produced by living organisms, and to protect all persons involved in the process of extracting materials and transforming them at all stages, up to the production of fine jewellery or other luxury products.

For sure the jewellery sector is starting to adapt to today’s reality. In the past years we have seen a rise in online purchasing, as well as digital communication and client engagement.

We are seeing more significant efforts of businesses and brands to implement ethically correct procedures throughout the trade, aligning to voluntary standards and certifications.

On the other hand, experiential purchasing is gaining importance among young generations against purchases driven by investment or by attachment to traditions. These changes of attitudes and expectations towards fine jewellery in young generations will affect our sector differently, depending on the cultural environment of customers and their degree of affinity and attachment towards precious jewellery.

Today more than ever products and brands are successful if their stories are opportunely conveyed. In the past fine jewellery didn’t need to be supported by any communication or promotional activities. It literally sold just because it existed, as a large part of the population was culturally attached to what fine jewellery and precious metals meant. This is still the case for a large number of customers, especially in rural areas in Asia and among mature generations.

But as customers adopt a more metropolitan and global lifestyle, they lose the emotional connection towards fine jewellery. As customers become younger and more digitalised, they tend not to follow customs and habits dictated by traditional rituals as their parents and grandparents did. They start investing their time and resources in emotional products and experiences that satisfy their personal and needs and individual desires.

We are not talking about an ephemeral style trend. Any jewellery company that wants to be successful in the next decades needs to approach innovation by implementing a coordinated project that addresses design, product development and marketing. It is time to fully understand that it is not by using ideas of internship design students or by launching an Instagram influencer campaign, that we will build competitivity in the mid-term.

The development of successful proposals requires in the first place a correct problem setting and I would like to focus on that today. There are some fundamental questions to be answered regarding why somebody would want to buy our products and how. We have to understand the decision process involved in any successful product purchase and define the spectrum of possible paths to ideally pursue the best match between what we can offer and what our clients require.

Who decides for the style of the jewellery piece and who for the budget to be spent or invested? Very often these decisions are made by two (or more) persons independently, who nevertheless have to be sure they make the right choice even not directly confronting themselves with what the other person decides, but relying on the jeweller’s recommendations.

For which occasion will my product be purchased? A different story will be told if the jewellery piece is proposed for an anniversary, an engagement or a wedding, for a religious festival or festivity, for Valentine’s day or Mother’s day, as a treat or just for fun.

Who will purchase the product, where and how? A complete different set of values and buying attitudes need to be taken in consideration if the proposed jewellery will be self-purchased or bought as a gift, and if it will be bought by a woman or a man. This is the case also while analysing the purchasing process when bridal jewellery is at stake. For example, we can observe a complete different scenario selling a wedding set in India, rather than an engagement ring in the US. Furthermore, we need to understand the attitudes and expectations of those who will wear the jewellery pieces, their lifestyles, concerns and interests. And last but not least, we need to learn to communicate and engage with our clients addressing barriers we are already facing now, such as misinformation, false and counterfeited products or lack of trust.

But most importantly, we need to understand and attract our potential clients. Potential clients are by definition non-existing clients and actually we need to get to know them as accurate as possible, even before we start communicating with them. This segment represents the most difficult target, needing more resources invested for often uncertain returns. Our potential clients nowadays are represented mainly by young millennials and the youngest incoming gen-Z customers in metropolitan areas. Many consumer surveys show these young potential customers have different purchasing behaviours as precedent generations, due to the fact that they rely on digital technologies for every aspect of their lives.

This means for example, they will seek information and feedback from other customers on the net, rather than going to physical stores or ask advise form their families or close friends. Relying on digital technologies also means they demand immediate and personalised proposals, easy purchasing and hassle-free returns and product changes. They need to feel good about their choices, even if decisions might seem casual or thoughtless. It means they no longer keep long-term fidelity towards brands and can spontaneously change their minds. 

Digital technologies are in fact provoking a process of dematerialisation in every aspect of our lives. The meaning of wealth and luxury will inevitably continue to evolve, provoking a shift in the value perception of precious materials. Sustainability and ethical issues are being placed by the general public into the top of the value scale, which leads to questioning the need of using precious metals and natural gems in the first place. The idea of luxury itself is changing, in a world in which basic elements such as clean water, time and peace are to become the most-sought treasures. It becomes clear that in a longer term, the value perception of precious jewellery will no longer be as we know it today and that we need to start taking action to be able to satisfy our future clients.

Each company needs to understand which functions and services will be sought for by their potential client segment, which materials and products and will be accepted and which procedures must be put in place to be coherent. It is crucial to fully understand which message needs to be conveyed  today and what kind of stories brands and products will have to tell in the future, in order to change, not losing any of the existing strengths but rather strengthening the growing potential.

In any case the jewellery sector needs to seriously invest resources not only thinking which products will sell, but also which services and emotions should be accordingly offered. There are many positive attitudes linked to jewellery purchasing, that should no longer be taken for granted, but consciously processed to be built upon.

We should ask ourselves as jewellery makers and sellers which positive experiences do we evoke and can we provoke? To whom? We should understand what it means that our jewellery will represent a valuable treasure for a bride or will become a style statement for the wearer. What it takes to be seen and chosen with the help of a family jeweller or proposed by a recognised brand. How precious materials can become luxury accessories, personal communication or medical devices, religious or status symbols and how these bring security and happiness.

The role of precious jewellery is deeply embedded in human nature, and it will continue to be so, as long as it evolves into the shapes, symbols and functions clients look for. 

The positive elements that precious jewellery is capable of arousing in the pubic represent the most convincing source for competitivity and as such, need to  be wisely addressed and communicated. These represent the solid foundations that will guide us throughout the next decade to generate a compelling business personality.


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Gioielli dal 2020 – Progettare innovazione

Gioielli dal 2020 – Progettare Innovazione

una relazione di Beatriz Biagi

In gioielleria, i trend si evolvono lentamente. Mentre altri settori cavalcano l’onda delle novità tecnologiche, l’alta gioielleria nel mondo resta fedele alla “vecchia” produzione e alle consuete prassi commerciali, senza avvertire alcuna urgenza di cambiamento. Lo status quo viene mantenuto per ragioni culturali e di sicurezza, e la gioielleria importante resta appannaggio dei clienti tradizionali, mancando di attingere a un bacino crescente di potenziali acquirenti.

L’alta gioielleria è legata a occasioni speciali, investimenti ed eredità e negli ultimi 30 anni l’atteggiamento dei clienti non è cambiato, specchio di un’affinità culturale maturata nei secoli – che probabilmente continuerà a esistere finché i materiali utilizzati conserveranno la loro aura di pregio esclusivo e finché il segmento target sarà abbastanza ampio da giustificare l’immobilità delle prassi di business. Ma già si avvertono i primi segnali di cambiamento: molti clienti hanno aspettative diverse e il significato simbolico di gioielli e prodotti di lusso muterà nei prossimi decenni.

Due grandi fattori hanno plasmato le nostre vite negli ultimi 15 anni: la tecnologia e la sostenibilità. Anche nell’alta gioielleria si sono aperti nuovi spazi, che player emergenti e start-up non hanno tardato a occupare. Tecnologie indossabili, dispositivi medicali e di comunicazione, mercati digitali e produzione on-demand hanno registrato una crescita costante, portando una ventata di innovazione nel settore internazionale del gioiello.

Come previsto nel 2006, la sostenibilità è ormai un valore chiave per ogni prodotto e sta diventando un trend dominante, insieme a una crescente consapevolezza etica e ambientale. Produrre eticamente fa aumentare i costi, ma senza dubbio esistono clienti disposti a pagare un prezzo premio pur di avere trasparenza e sostenibilità nei gioielli, o comunque a investire il proprio denaro in prodotti e servizi di marchi che adottino e garantiscano l’applicazione di best practice. La sostenibilità non figura ancora tra i criteri prioritari nell’acquisto di un gioiello, ma avrà sempre più importanza negli anni a venire.

È chiaro che, in un comparto del lusso che tratta gemme e metalli, la sostenibilità ambientale e le questioni etiche non siano parametri fondamentali del sistema. Ciononostante, molti brand sono sempre più attenti alla provenienza dei materiali utilizzati, soprattutto delle gemme prodotte da organismi viventi, e alla tutela delle persone coinvolte nei processi di estrazione e lavorazione, fino alla produzione dei gioielli e di altri articoli di lusso.

Sicuramente l’alta gioielleria sta cominciando ad adattarsi alla realtà odierna. Negli ultimi anni sono aumentate le vendite online e le interazioni digitali con i clienti.

Le aziende e i marchi si impegnano ad adottare procedure eticamente corrette in ogni fase del business, allineandosi volontariamente a standard e certificazioni.

Al tempo stesso, assume nuova rilevanza tra i giovani il lato esperienziale dell’acquisto, contrapponendosi alle mere scelte d’investimento o all’aderenza alle tradizioni. Questi cambiamenti di attitudine e aspettative nei confronti della gioielleria di qualità nelle nuove generazioni avranno un impatto sul nostro settore, diverso a seconda dell’ambiente culturale dei clienti e del loro grado di affinità e attaccamento verso i preziosi.

Oggi più che mai, brand e prodotti hanno successo se sanno raccontare bene le loro storie. In passato l’alta gioielleria non aveva bisogno di strategie di comunicazione o attività promozionali. Per vendere bastava esistere, dato che tante persone erano culturalmente legate al significato intrinseco dei gioielli e dei metalli preziosi. Questo è ancora vero per molti clienti, soprattutto nelle zone rurali dell’Asia e tra le generazioni più mature.

Ma con il diffondersi di uno stile di vita globalizzato e metropolitano, la connessione emotiva con i gioielli di lusso si assottiglia sempre più. I clienti, più giovani e digitalizzati, si discostano dai riti della tradizione e non seguono più gli usi e i costumi dei genitori e dei nonni, preferendo investire tempo e risorse in prodotti ed esperienze che regalino emozioni in linea con le esigenze e i desideri personali.

Non stiamo parlando di un trend effimero. Per avere successo nei prossimi decenni, i creatori di gioielli dovranno puntare all’innovazione attuando un progetto coordinato che abbracci design, sviluppo del prodotto e marketing. Una cosa sia chiara: non è sfruttando le idee degli stagisti del reparto design né lanciando una campagna di Influencer Marketing su Instagram che si diventa competitivi nel medio termine.

Lo sviluppo di una proposta efficace parte da una corretta individuazione dei problemi e su questo vorrei concentrarmi oggi. Ci sono delle domande fondamentali a cui dobbiamo rispondere sul perché qualcuno dovrebbe voler acquistare i nostri prodotti e come. Dobbiamo capire il processo decisionale che sta dietro l’acquisto di ogni prodotto e definire lo spettro di percorsi possibili per trovare la corrispondenza ideale tra ciò che possiamo offrire e ciò di cui i nostri clienti hanno bisogno.

Chi decide lo stile di un gioiello e chi il budget da spendere o investire? Molto spesso queste decisioni vengono prese da due o più persone in modo indipendente, ma che comunque devono accertarsi di fare la scelta giusta anche senza confrontarsi direttamente con gli altri interlocutori, ma affidandosi ai consigli del gioielliere.

Per quale occasione sarà acquistato il mio prodotto? Dovremo raccontare una storia diversa a seconda che il gioiello venga proposto per un anniversario, un fidanzamento o un matrimonio, per una festività o una ricorrenza religiosa, per San Valentino o per la Festa della Mamma, come una piacevole “follia” o per il piacere di fare un regalo.

Chi acquisterà il prodotto, dove e come? Il set valoriale e le attitudini alla base dell’acquisto saranno completamente diversi se il cliente acquista il gioiello per sé o per un’altra persona, se il gioiello viene acquistato da una donna o da un uomo. Questo vale anche nell’analisi del processo d’acquisto dei gioielli nuziali. Siamo di fronte a scenari completamente diversi se pensiamo, per esempio, alla vendita di una parure di gioielli per una sposa indiana rispetto alla scelta di un anello di fidanzamento negli Stati Uniti. Non solo. Dobbiamo capire a fondo le attitudini e le aspettative della persona che indosserà i gioielli, il suo stile di vita, le sue difficoltà e i suoi interessi. E da ultimo, ma non per questo meno importante, dobbiamo imparare a comunicare con i nostri clienti e coinvolgerli abbattendo le barriere che già oggi incontriamo, come la disinformazione, i prodotti falsi e contraffatti, la sfiducia.

Ma soprattutto dobbiamo capire e attrarre i nostri potenziali clienti. I potenziali clienti sono, per definizione, clienti inesistenti e quindi dobbiamo studiarli con grande attenzione ancor prima di iniziare a comunicare con loro. Questo segmento è il target più ostico, che richiede un investimento maggiore di risorse e non promette un ritorno certo. Oggi i nostri potenziali clienti sono rappresentati essenzialmente dai giovani Millennials e dagli ancora più giovani esponenti della Generazione Z nelle aree urbane. Molte indagini di mercato indicano che questi potenziali clienti hanno comportamenti d’acquisto diversi da quelli delle generazioni precedenti, per via del fatto che usano le tecnologie digitali per ogni aspetto della propria vita.

Per esempio, cercano informazioni e leggono i pareri di altri clienti sul Web, invece di andare personalmente nei negozi o chiedere consiglio ad amici e parenti. Affidarsi completamente alle tecnologie digitali significa anche che si aspettano un’offerta immediata e personalizzata, acquisti semplici e la possibilità di rendere e sostituire i prodotti senza fatica. Devono sentire di aver fatto la scelta giusta, per quanto spensierata o disinvolta possa sembrare questa scelta. Questo target non è fedele ai brand a lungo termine e spesso e volentieri cambia idea.

Le tecnologie digitali hanno innescato un processo di smaterializzazione in ogni aspetto della nostra vita. Il significato di ricchezza e lusso continuerà inevitabilmente a evolversi, cambiando la percezione del valore dei materiali preziosi. Etica e sostenibilità sono in cima alla scala dei valori del grande pubblico e questo porta a interrogarsi sulla reale necessità di utilizzare gemme naturali e metalli preziosi. L’idea stessa di lusso sta cambiando, in un mondo in cui elementi fondamentali come l’acqua pulita, il tempo e la pace diventano i tesori più ricercati. È chiaro che, nel lungo periodo, la percezione del valore dell’alta gioielleria sarà diversa da quella che conosciamo oggi, e che dobbiamo metterci subito al lavoro per soddisfare le esigenze dei nostri futuri clienti.

Ogni azienda deve capire quali saranno le funzioni e i servizi più richiesti dal proprio target di riferimento; quali materiali e prodotti saranno accettati e quali procedure devono essere messe in atto per dimostrare coerenza. È cruciale capire quale messaggio dev’essere comunicato oggi e che tipo di storie i brand e i prodotti dovranno raccontare in futuro – per cambiare senza perdere i nostri attuali punti di forza, ma piuttosto aumentando il potenziale di crescita.

In ogni caso il settore del gioiello deve investire grandi risorse non solo pensando a quali prodotti venderà, ma anche a quali servizi ed emozioni offrire a corollario. All’acquisto di un gioiello sono legate molte sensazioni positive, che non devono più essere date per scontate, ma elaborate coscientemente e usate come leve di successo.

Come produttori e venditori di gioielli, dobbiamo chiederci: quali esperienze positive possiamo evocare o creare? Per chi? Dobbiamo capire cosa vuol dire quando diciamo che i nostri gioielli rappresenteranno un bene prezioso per una sposa o una dichiarazione di stile per chi li indossa. Cosa serve per essere notati e scelti con l’aiuto di un gioielliere di famiglia, o proposti da un brand riconosciuto. Come i metalli preziosi possono diventare accessori di lusso, dispositivi di comunicazione personale o apparecchiature medicali, emblemi religiosi o status symbol; e in che modo infondono sicurezza e felicità.

Il ruolo dell’alta gioielleria è intimamente connesso con la natura umana, e continuerà a esserlo finché saprà vestire le forme, i simboli e le funzioni che i clienti ricercano.

Gli elementi positivi che l’alta gioielleria sa suscitare nel pubblico sono una carta vincente in termini di competitività, e per questo devono essere gestiti e comunicati con sapienza. Rappresentano le solide fondamenta che ci guideranno nel prossimo decennio, aiutandoci a costruire una straordinaria personalità imprenditoriale.


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Macroeconomic scenario for the jewellery sector

Macroeconomic scenario for the jewellery sector

a speech by Stefania Trenti

The Italian jewellery sector in 2019

Positive turnover and production also in 2019

  • According to ISTAT data, production in the jewellery and bijoux sector recorded yet another considerable increase in the first 10 months of 2019: +19.5%, for the third year running. 
  • Turnover also increased considerably: +11.4% between January and October 2019. Turnover increased for the tenth year running.

 

Evolution in turnover and production in the jewellery sector (var.%)

Jewellery sector: ATECO code 32.1
*2018: January – November
Source: Intesa Sanpaolo,
Istat data processing

Price of gold is increasing

As of the month of May, considerable global economic uncertainty led to a significant increase in the price of gold which quickly exceeded 1,500 dollars an ounce between August and September. It then continued to stand at higher levels than the mean value in 2018.
On average in 2019, the price of gold increased by 15.9% in Euros and 9.7% in dollars. 

Monthly gold prices

Source: Intesa Sanpaolo processing on LME data

…with negative effects on global demand

Global demand for gold jewellery reacted rapidly to the new price scenario, recording a significant drop in the third quarter (-15.6%), particularly in two main markets (China and India) and in the Middle East.

Global demand for gold jewellery: trend var.% (tons)

Global demand for gold jewellery: trend var.% by nation

Source: Intesa Sanpaolo on World Gold Council data – Gold Demand Trends

Excellent performances for Italian exports

In the first nine months of 2019, gold jewellery exports grew by 12.1% in quantity and by 8.8% in value in Euros.

Evolution in gold jewellery exports (trend var.%)

* Codes HS 711319 for gold and other precious materials Source: Intesa Sanpaolo, Istat data processing

with widespread positive results on (almost) all markets

Evolution in Italian gold jewellery exports (trend var.%)

Codes HS 711319 for gold and other precious materials
Source: Intesa Sanpaolo, Istat data processing

 

…and districts

Provincial export figures are only available on a more aggregate level (including costume jewellery) and only in value (not in quantity).
All the districts registered positive development, with the best results in Arezzo. 

Italian jewellery and bijoux* in 2019 (var.%)
*Code 32.1 Source: ISTAT data processing

 

The success of luxury towed by Switzerland, France and Italy

Global gold jewellery export rates* (%)
N.B. Net of flows to and from the United Arab Emirates and between China and Hong Kong
*Code 711319 Source: processing on UNCTAD Comtrade data

 

Excellent results in the USA

USA gold jewellery import rates* (%)
*Code 711319 Source: processing on US Trade data

The prospects for the next few months

Global trade picking up but trends showing modest growth

Variations are calculated on the CPB monthly world trade index. The shaded area shows forecasts. Source: Intesa Sanpaolo data processing

Forecasts for 2021

  • Slight recovery in the first six months of 2020 but annual figure lower than 2019 due to a disadvantageous towing effect.
  • A slight acceleration (of annual data) expected in 2021, also due to trade agreements.

GDP growth forecasts

Source: Refinitiv-Datastream and Intesa Sanpaolo data processing

From Asia, the first signs of cycle stabilization

The OECD forecast indicator for China confirms the turnaround

Source: OECD

Global SME manufacturing benefits from the recovery of emerging countries

Source: IHS Markit

USA cycle: controlled slowdown 

Growth towards potential

Source: Refinitiv-Datastream

Manufacturing heading towards stabilization

Source: Refinitiv-Datastream

Consumers are optimistic

Growth in consumption sustained by solid ready income dynamics

Source: Refinitiv Datastream

Families are very optimistic

Source: Refinitiv Datastream

The employment market is the power towed by consumption: unemployment at its minimum since 1969

The unemployment rate is at a minimum since the end of 1969…

Source: Refinitiv Datastream

…with salary dynamics speeding up

Source: Refinitiv Datastream

Family budgets are in order at last

Net wealth in constant growth and savings rates at the levels of the ‘90s

Source: Refinitiv Datastream

Families have reduced their debts but companies and the public sector have not

Source: Refinitiv Datastream

Euro area: internal demand sustained by real incomes and tax policies

Salary and employment growth supports incomes and consumption

Source: Eurostat and Intesa Sanpaolo projections

Correct primary balance for the cycle: 2020 budgets show a modest slowdown (0.3% at the Eurozone level)

Source: European Commission

 

Foreign demand more favourable in 2020

In the Euro area, foreign demand should partially recover over the next few quarters

Source: Intesa Sanpaolo estimates and Oxford Economics

Italy: still modest growth

  • In 2020, we expect a slight acceleration to 0.3% (0.4% incorrect for working days) from 0.2% in 2019.
  • A growth of 0.5% expected in 2021.

GDP increasing in the last few quarters despite a drop in industrial activity

Source: Refinitiv-Datastream, Istat and Intesa Sanpaolo processing

Budget law: resources destined for VAT blockage

The latest modifications have seen an easing and deferral of the plastic tax until July, a postponement of the sugar tax until October and a substantial zeroing of the squeeze on company cars. The manoeuvre has risen to 32 billion.

Interventions (impact in billions on 2020)

Coverage (impact in billions on 2020)

Note: effect on net debt in billions
Source: Intesa Sanpaolo processing on DPB 2020

Steady consumption thanks to good ready income dynamics

The various GDP components contribution to growth

Source: Refinitiv-Datastream, Istat and Intesa Sanpaolo processing

Growth can begin again in the medium term

The drop in interest rates leads to savings for the State and a boost in GDP growth

The re-acceleration of monetary aggregates (whose turnaround has always preceded that of the cycle) is a hopeful sign of a future growth in GDP in the medium term

Note: cumulated effects on the GDP of a 100 base-point drop in returns on Government bonds in the medium to long term (more or less in line with that registered in the last 6 months) (% deviation from the baseline) and on PA expenditure due to interests (in % of GDP).

Source: Banca d’Italia, MEF, Intesa Sanpaolo processing

Precious material prices  

Geopolitical uncertainty should continue in 2020 to support the price of gold which, in our expectations, should continue on a consolidation course, remaining within the mean in 2020 at around 1,500$/troy ounce, with a potential risk of increase deriving from ample liquidity on the markets and expansive monetary policies in all areas.

Price of gold ($/troy ounce)

Source: processing on LME data

Euro in slight improvement against the USD within a 12-month horizon

Source: Intesa Sanpaolo

Important Information

The economists drafting this report state that the opinions, forecasts, and estimates contained herein are the result of independent and subjective evaluation of the data and information obtained and no part of their compensation has been, is, or will be directly or indirectly linked to the views expressed.

This report has been produced by Intesa Sanpaolo S.p.A. The information contained herein has been obtained from sources that Intesa Sanpaolo S.p.A. believes to be reliable, but it is not necessarily complete and its accuracy can in no way be guaranteed. This report has been prepared solely for information and illustrative purposes and is not intended in any way as an offer to enter into a contract or solicit the purchase or sale of any financial product. This report may only be reproduced in whole or in part citing the name Intesa Sanpaolo S.p.A.

This report is not meant as a substitute for the personal judgment of the parties to whom it is addressed. Intesa Sanpaolo S.p.A., its subsidiaries, and/or any other party affiliated with it may act upon or make use of any of the foregoing material and/or any of the information upon which it is based prior to its publication and release to its customers.

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