Secondo i dati ISTAT la produzione del settore gioielleria e bigiotteria ha registrato nei primi 10 mesi del 2019 una nuova forte crescita: +19,5%, per il terzo anno consecutivo.
In forte aumento anche il fatturato: +11,4% tra gennaio e ottobre 2019. Il fatturato è in crescita per il decimo anno consecutivo.
Evoluzione del fatturato e della produzione del settore orafo (var.%)
Settore orafo: codice ATECO 32.1 *2018: gennaio – novembre Fonte: Intesa Sanpaolo, elaborazioni su dati Istat
Prezzo dell’oro in crescita…
A partire dal mese di maggio la forte incertezza nello scenario globale ha comportato una significativa crescita del prezzo dell’oro che ha superato rapidamente i 1500 dollari oncia tra agosto e settembre per poi posizionarsi su livelli superiori alla media del 2018. Nella media del 2019 il prezzo dell’oro è aumentato del 15,9% in euro e del 9,7% in dollari.
Quotazioni mensili dell’oro
Fonte: elab. Intesa Sanpaolo su dati LME
…con effetti negativi sulla domanda mondiale
La domanda mondiale di gioielli in oro ha reagito rapidamente al nuovo quadro dei prezzi, registrando una significativa contrazione nel terzo trimestre (-15,6%), in particolare sui due principali mercati (Cina e India) ed in Medio Oriente.
Domanda mondiale di gioielli in oro: var.% tendenziali (tonnellate)
Domanda mondiale di gioielli in oro: var.% tendenziali per paese
Fonte: Intesa Sanpaolo sudati World Gold Council – Gold Demand Trends
Ottime performance per l’export italiano…
Nei primi nove mesi del 2019, le esportazioni di gioielli in oro sono cresciute del 12,1% in quantità e dell’8,8% in valore in euro.
Evoluzione delle esportazioni di gioielli in oro (var.% tendenziale)
* Codici HS 711319 per oro e altri preziosi Fonte: Intesa Sanpaolo, elaborazioni su dati Istat
…con risultati positivi diffusi a (quasi) tutti i mercati…
Evoluzione delle esportazioni italiane di gioielli in oro (var.% tendenziale)
* Codici HS 711319 per oro e altri preziosi Fonte: Intesa Sanpaolo, elaborazioni su dati Istat
…e i distretti
Le esportazioni provinciali sono disponibili solo a livello più aggregato (inclusa la bigiotteria) e solo in valore (e non in quantità). Tutti i territori hanno registrato una evoluzione positiva, con risultati più brillanti per Arezzo.
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Esportazioni italiane di gioielli e bigiotteria* nel 2019 (var.%)
*Codice 32.1 Fonte: elab. su dati ISTAT
Il successo del lusso traina Svizzera, Francia e Italia
Quote sulle esportazioni mondiali di gioielli in oro* (%) N.B. Al netto dei flussi verso e dagli Emirati Arabi Uniti e tra Cina e Hong Kong *Codice 711319 Fonte: elab. su dati UNCTAD Comtrade
Ottimi risultati negli USA
Quote sulle importazioni USA di gioielli in oro* (%) *Codice 711319 Fonte: elab. su dati US Trade
Le prospettive per i prossimi mesi
Commercio mondiale in ripresa, ma trend di crescita modesto
Le variazioni sono calcolate sull’indice mensile di commercio mondiale CPB. L’area ombreggiata indica le proiezioni. Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo
Le previsioni al 2021
Lieve ripresa nel primo semestre 2020 ma dato annuo inferiore al 2019 a causa di un effetto trascinamento penalizzante.
Attesa una leggera accelerazione (dei dati annui) nel 2021, anche grazie agli accordi sul commercio.
Le previsioni di crescita del PIL
Fonte: Refinitiv-Datastream ed elaborazioni Intesa Sanpaolo
Dall’Asia i primi segni di stabilizzazione del ciclo
L’indice anticipatore OCSE per la Cina conferma la svolta
Fonte: OECD
PMI manifatturiero Globale beneficia della ripresa dei Paesi emergenti
Fonte: IHS Markit
Ciclo USA: rallentamento controllato
Crescita verso il potenziale
Fonte: Refinitiv-Datastream
Manifatturiero in via di stabilizzazione
Fonte: Refinitiv-Datastream
I consumatori sono ottimisti
Crescita dei consumi sostenuta da una dinamica solida del reddito disponibile
Fonte: Refinitiv Datastream
Le famiglie sono molto ottimiste
Fonte: Refinitiv Datastream
Il mercato del lavoro è la forza trainante dei consumi: disoccupazione sui minimi dal 1969
Il tasso di disoccupazione è sui minimi da fine 1969…
Fonte: Refinitiv Datastream
…con la dinamica salariale in accelerazione
Fonte: Refinitiv Datastream
I bilanci delle famiglie sono finalmente in ordine
Ricchezza netta in continuo aumento e tasso di risparmio sui livelli degli anni ‘90
Fonte: Refinitiv Datastream
Le famiglie hanno ridotto il loro debito, le imprese e il settore pubblico no
Fonte: Refinitiv Datastream
Area euro: domanda interna sostenuta da redditi reali e politiche fiscali
Crescita salariale e occupazione sostengono redditi e consumi
Fonte: Eurostat e proiezioni Intesa Sanpaolo
Saldo primario corretto per il ciclo: i budget 2020 mostrano un modesto allentamento (0,3% a livello di Eurozona)
Fonte: Commissione Europea
Domanda estera più favorevole nel 2020
Per l’area euro la domanda estera dovrebbe riprendersi parzialmente nei prossimi trimestri
Fonte: stime Intesa Sanpaolo e Oxford Economics
Italia: crescita ancora modesta
Per il 2020 ci aspettiamo una lieveaccelerazione a 0,3% (0,4% non corretto per i giorni lavorativi), dallo 0,2% del 2019.
Attesa una crescita dello 0,5% nel 2021.
Il PIL è cresciuto negli ultimi trimestri nonostante una contrazione dell’attività industriale
Fonte: Refinitiv-Datastream, Istat ed elaborazioni Intesa Sanpaolo
Legge di bilancio: risorse destinate al blocco dell’IVA
Le modifiche dell’ultim’ora hanno visto un alleggerimento e un rinvio a luglio della plastic tax, uno slittamento a ottobre della sugar tax e un sostanziale azzeramento della stretta sulle auto aziendali. La manovra è salita a 32 miliardi.
Interventi (impatto in miliardi sul 2020)
Coperture (impatto in miliardi sul 2020)
Nota: effetto sull’indebitamento netto in miliardi Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su DPB 2020
Tenuta dei consumi grazie ad una buona dinamica del reddito disponibile
Contributi alla crescita delle varie componenti del PIL
Fonte: Refinitiv-Datastream, Istat ed elaborazioni Intesa Sanpaolo
Un ritorno alla crescita è possibile nel medio termine
Il calo dei tassi di interesse comporta, oltre a risparmi per lo Stato, anche una spinta alla crescita del PIL
La ri-accelerazione degli aggregati monetari (la cui svolta ha sempre anticipato quella del ciclo) fa sperare in un ritorno alla rescita del PIL nel medio termine
Nota: effetti cumulati di un calo di 100 punti-base dei rendimenti sui titoli di Stato a medio e lungo termine (circa in linea con quello registrato negli ultimi 6 mesi) sul PIL (deviazioni % rispetto al baseline) e sulla spesa per interessi della PA (in % del PIL).
L’incertezza geopolitica dovrebbe continuare anche nel 2020 a sostenere il prezzo dell’oro che nelle nostre attese dovrebbe proseguire il percorso di consolidamento, rimanendo nella media del 2020 intorno ai 1500$/oncia troy, con potenziali rischi al rialzo derivanti dall’ampia liquidità sui mercati e da politiche monetarie espansive in tutte le aree.
Prezzo dell’oro ($/oncia troy) Fonte: elab. su dati LME
Euro in lieve apprezzamento su USD in un orizzonte di 12 mesi
Fonte: Intesa Sanpaolo
Importanti comunicazioni
Gli economisti che hanno redatto il presente documento dichiarano che le opinioni, previsioni o stime contenute nel documento stesso sono il risultato di un autonomo e soggettivo apprezzamento dei dati, degli elementi e delle informazioni acquisite e che nessuna parte del proprio compenso è stata, è o sarà, direttamente o indirettamente, collegata alle opinioni espresse.
La presente pubblicazione è stata redatta da Intesa Sanpaolo S.p.A. Le informazioni qui contenute sono state ricavate da fonti ritenute da Intesa Sanpaolo S.p.A. affidabili, ma non sono necessariamente complete, e l’accuratezza delle stesse non può essere in alcun modo garantita. La presente pubblicazione viene a Voi fornita per meri fini di informazione ed illustrazione, ed a titolo meramente indicativo, non costituendo pertanto la stessa in alcun modo una proposta di conclusione di contratto o una sollecitazione all’acquisto o alla vendita di qualsiasi strumento finanziario. Il documento può essere riprodotto in tutto o in parte solo citando il nome Intesa Sanpaolo S.p.A.
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The importance of grain size in jewelry alloys and its control
a speech by Chris Corti
Abstract
Control of grain (crystal) size in jewellery manufacture is important for several reasons. It affects the properties of the alloys – mechanical, chemical and physical. These, in turn, influence the manufacturing process and the jewellery’s behaviour during wear by the customer. There are a number of ways grain size (and shape) can be controlled in precious metal jewellery alloys – by casting, working and annealing and by use of alloying additives that refine the grain size during casting and during working and annealing. These are reviewed and discussed in terms of their mechanisms, ease of use and their effectiveness. Some of the problems that can arise from lack of control will also be discussed. The focus of the presentation will be on gold alloys but all precious metals are considered.
Introduction
Anyone involved in the making of jewellery should have an appreciation of the nature of the metals and alloys with which they work and understand how alloying and processing of the metals influences the microstructure and consequently their properties. For jewellery, we focus on the alloys of the precious metals – gold, silver, platinum and palladium, all four of which are inherently ductile metals – but what I say is of general validity and applies to most metals.
Two fundamental points to understand are that1:
Alloy composition, microstructure and processing history are interrelated, Figure 1, and jointly influence an alloy’s properties, be they chemical (e.g. corrosion and tarnish resistance), physical (e.g. density, colour) or mechanical (e.g. strength, malleability, hardness). These, in turn, influence manufacturability and service performance.
Most metals and alloys are composed of many crystals, or grains as we metallurgists call them; thus, most alloys are polycrystalline. There are some rare exceptions such as single crystal aero turbine blades and amorphous or glassy metals.
In this presentation, I want to focus on alloy macro- and micro-structures, particularly grain size and shape. How we can influence them by casting, alloying and by mechanical working and annealing? Why are they important?
Figure 1 – Interrelationship of alloy composition, microstructure and processing history on properties (schematic)
Importance of grain size to jewelry
As jewellers attending this Jewellery Technology Forum will know, metallurgists pay some attention to the crystal, or grain, size in their alloys. We talk about ‘large (or coarse) grains’ or small (or fine) grain sizes and generally state the desirability of the latter in terms of jewellery production. The terms ‘large’ and ‘small’ are, of course, relative. But for practical purposes, ‘Large’ will usually mean grains of the order of millimetres or larger and ‘small’ will refer to grain sizes of the order of tenths or hundredths of a millimetre (1 – 100 microns). You may also hear of grain sizes referred to in terms of an ASTM numerical value. This is a comparative method of measuring grain size. The higher the number, the smaller is the grain size.
Why is control of grain size (and shape) important? Well, it is down to the relation between the grains (crystals) and the grain boundaries – the region at the junction of adjacent grains – and their relative influence on mechanical deformation processes. Grain boundaries are where the atoms sitting on the crystal lattices of adjacent grains do not match across together, creating a narrow region of imperfect crystal, Figure 2. Often, these can be a preferred site for deleterious impurities and second phases, leading to embrittlement. At low or ambient temperatures, the deformation process under an imposed load is governed mainly by the dislocation slip mechanism within each grain (dislocations are linear crystal defects responsible for deformation on crystal slip planes). Without going into deep explanations, the outcome is that alloys with finer grains are stronger than those with large grains, and this effect is expressed by the Hall-Petch relationship in which yield strength, σy.s., is inversely related to the grain size squared:
σy.s. = m/d2
where d is the average grain diameter and m is a constant. The yield strength of a material (known also as the Elastic Limit or proof stress) is the stress required to start plastic deformation and is smaller than the ultimate tensile strength (‘UTS’).
Thus, the jewellery is stronger and harder if it is fine-grained and, beneficially, it is also more ductile and less prone to cracking, impurity embrittlement and the ‘orange peel’ surface after deformation. As jewellery is generally only subject to relatively simple stresses (loads) at ambient temperatures, whether in a production environment or in service, a fine grain size is therefore desirable. This is generally true for other non-precious engineering components such as sheet steel for car bodies and white goods.
Figure 2 – Schematic of a grain boundary, showing the mismatch of crystal structure at the boundary
On the other hand, engineering components can be subjected to often-complex stresses over long periods at high temperatures; for example, turbine blades and disks in jet engines and boiler tubes in utility power stations. At these high temperatures, the main deformation mechanisms are phenomena such as creep and fatigue. Creep is the slow deformation under a steady low stress or load and fatigue is the mechanical failure under an alternating load. The lead sealing on a tiled church roof is actually at a hot working temperature and so slowly creeps under its own weight. Under such conditions, the grain boundaries are weaker and grains can slide over each other; hence, a large grain size is preferred as there is relatively less grain boundary area. In the ultimate, such as gas turbine blades, we prefer to eliminate grain boundaries, so we find use of directionally solidified alloys and even single crystal alloys for optimum creep and fatigue strength. An extreme of fine grain sizes is a phenomenon known as superplastic deformation, whereby alloys with stable, fine grain sizes can be gently deformed at temperature under low stresses to very large deformations, just like Swiss cheese fondue. Several titanium aircraft components of complex shape are manufactured by this technique including the very large fan blades on Rolls Royce jet engines. Interestingly, fine-grained sterling silver can be superplastically deformed under the right conditions2 and I would expect some other precious metal alloys also to do likewise. But to date, that ability has not been developed or commercially exploited in our industry.
Examination of microstructure: metallography
As many of you will also know, we can examine the microstructure and measure the grain size of a piece of jewellery metal; due to the scale of this, it is often performed under an optical microscope. The process of examining grain size and general microstructure is called ‘metallography’. Figure 3 shows the microstructure of both as-cast and cold worked and recrystallized gold alloys. There are obvious differences in appearance and these will be explained later.
Figure 3 – Microstructure of typical karat gold alloys (a) as cast, (b) worked and annealed
Normally, if we wish to examine the macrostructure or microstructures of an alloy, we need a flat polished surface as optical microscopes have a limited depth of focus. In order to expose the features such as grain boundaries and second phases, we often need to etch the surface with a corrosive liquid such as acid. As grain boundaries are less perfect than the crystals, they etch preferentially to reveal themselves. As different crystals are oriented in different directions relative to the plane of the surface, they also etch at different rates and so appear of different contrast or colour to the eye. Where more than one phase is present, these also etch differently and usually show themselves as different colours or shades of darkness.
If we need greater magnification than we can get in an optical microscope to see the features of interest or we have an uneven surface such as a fracture, then we use a scanning electron microscope. Here flatness of the surface is not such an issue as in optical light microscopy and we can often see different phases by atomic number contrast, without the need for etching (see figure 22 in reference 3, for example)3,4. The heavier elements appear whiter under the SEM and the lighter ones darker, so giving rise to differences in contrast with varying alloy phase composition.
Casting
Melting and casting is a process for producing alloys of the desired composition and also for specific shapes. These can be either net shapes, as in investment (lost wax) casting, or stock materials, i.e. ingots, that can be further processed to modify the shape, structure and properties. Casting involves melting and the solidification of molten metal. Subsequent mechanical processing of ingot materials enables us to break down coarse, non-uniform structures to more desirable refined structures better suited to the purposes that we require in manufacture and in subsequent service and generally have improved, more consistent properties.
The structure of cast alloys depends on the rate at which we cool and solidify the metal which, in turn, depends on the size of the casting and the thermal conductivity of the mould material. Thus, the structure of large ingots will differ from that of small investment castings. We will explore the influence of casting conditions shortly.
Influence of solidification on grain size and shape
As has been mentioned before5,6, pure metals solidify at a fixed temperature; for example gold solidifies at 1064°C and silver at 962°C. Most alloys*, on the other hand, solidify over a temperature range: the liquidus temperature is the temperature above which the alloy is completely molten and is the temperature at which solidification starts on cooling; the solidus is the temperature at which solidification is completed and thus below this temperature the alloy is completely solid. Between the liquidus and solidus, alloys comprise some liquid and some solid, often known as the ‘mushy’ or pasty state. The characteristics of solidification and the resulting structure are influenced by the temperature gap between the liquidus and solidus and the overall phase diagram for the alloy system.
[*There are a few exceptions, such as eutectic alloys which also solidify at a fixed temperature like the pure metals]
To understand the process of solidification, it helps to understand the atomic structure of liquids and how atoms coalesce to form solid material. The liquid state comprises mobile atoms in a dynamic, unstructured state. Some atoms will come together briefly to form a small cluster but these quickly break up.
As we cool a liquid (molten metal in our case), small clusters of atoms come together and stay together to form a nucleus. The formation of nuclei tends to occur at preferred sites such as a mould wall or at impurity particles/inclusions but can occur randomly in the melt. As the temperature falls, more atoms join the small stable clusters of atoms that comprise the nuclei in a structured way that is the crystal lattice of that metal or alloy. For our precious metals, that will be in the face-centred cubic arrangement discussed in another presentation1. These are the embryonic crystals (crystallites) that will make up our alloy. A fast cooling rate during solidification will lead to more nuclei forming and consequently, because each nuclei develops into a crystal or grain, a fine grain size results. A slow cooling rate leads to less nuclei forming and a resultant larger grain size. We should note that nucleation at inclusion particles is how insoluble grain refiners like iridium and ruthenium work in gold alloys, for example, by promoting nucleation.
These nuclei grow by adding more atoms from the liquid. They do so in preferred crystal directions, extending from the cube faces and branching out as the crystal grows. This results in a tree-like structure that we call a dendrite. All the nuclei grow into dendrites, each of which will have an orientation dependent on the orientation of the original nucleus. Each dendrite continues to grow until it collides with an adjacent dendrite. The interface between them forms a boundary. This we call the crystal boundary, or more usually, a grain boundary. Here, the atoms on each lattice do not fit together cleanly, so creating a thin region of imperfect crystal, as we have discussed earlier. Figure 4 shows some dendrites in a platinum alloy7. We can clearly see several dendrites, each pointing in different directions. We often see such dendrites in shrinkage cavities in investment casting. Provided there is feeding of more liquid metal, the spaces between dendrites eventually fill up to give solid metal. If there is restricted feed, then shrinkage cavities (porosity) will result.
Figure 4 – SEM image of dendrites in Pt-Ru alloy, seen in a shrinkage cavity (from reference 7)
If we examine an etched metallographic section of a cast metal under the microscope, such as shown in Figure 3, we can clearly see the dendritic structure. We also note that the dendrite centre etches up differently to the outer zone; this is due to chemical segregation, whereby the metal that solidifies first has a different chemical composition from that which solidifies last. This is known as ‘coring’. Why that is so, we can readily explain from the phase diagram6.
When we pour molten metal into a mould, it begins to solidify inwards from the mould walls as this is the coldest temperature. If a cold metal (e.g. iron) mould is used, as is usual for ingot casting, the rate of heat removal is rapid. Initially, a thin layer of fine grains is formed – the chill layer – because of the high rate of nucleation. Then long finger-like grains – called columnar grains – begin to grow inwards from the chill layer towards the centre of the ingot, Figure 5.
Figure 5 – Solidification proceeds inwards from the colder mould walls
Figure 6 – Grain structure of ingots cast into metal moulds at a relatively high pouring temperature
If the metal casting temperature is relatively high, this columnar growth will extend into the centre of the ingot, Figure 6. This is not a good structure if you are going to roll the ingot to plate or sheet, as it may split down the middle (known as alligatoring, Figure 7), as this is also where impurities will tend to concentrate as it is the last metal to solidify.
Figure 7 – Splitting of gold alloy ingot down the centre during rolling (‘alligatoring’)
Figure 8 – Grain structure of ingots cast into metal moulds at a relatively low pouring temperature
When a ceramic (plaster) muold is used, as in investment (lost wax) casting, the cooling rate is markedly slower and equiaxed grains are formed throughout the casting. This is a preferred microstructure. Temperature of melt and mould can play a role in determining the as-cast grain size. The higher the temperature, the coarser the grain size.
Refining cast microstructures by working to improve grain size
As we have seen, cast microstructures may not be optimum for manufacturing or service. Chemical segregation (‘coring’) and coarse structures can lead to poor mechanical and corrosion properties. So working of ingot material serves two purposes: (a) to change the physical shape to that desired (sheet, wire, etc) and (b) to refine the structure. This may involve breaking down coarse grain structures, reducing segregation and refining coarse second phases to smaller, more uniformly distributed ones.
Much of this is best achieved by hot working the material, by hot forging or rolling, extrusion and/or drawing or combinations of methods. This will refine the structure but leave it more or less in a soft annealed condition. In hot working, as the metal deforms, it is at a high enough temperature for it to recrystallize (anneal) during the deformation.
If we wish to impart additional hardness and improved strength as well as a more accurate shape and superior surface, then we cold work the material, usually at ambient temperature. Here the temperature is insufficient to promote annealing.
If we overwork a material, it can crack or fracture, so we need to anneal the hard worked material from time to time to restore the soft, ductile condition and enable further working. Annealing involves a process of recrystallization, where the hard deformed grains reform themselves into new undeformed grains by a nucleation and growth process analogous to solidification.
Cold working and annealing: influence on microstructure & grain size
Cold working of metals results in an overall shape change. This is reflected by a change in the microstructure, where the grains must deform to accommodate the change in shape. This is shown schematically in Figure 9 for reduction by rolling. To achieve this, planes of atoms in each grain (crystal) must slide over each other, Figure 10, via crystal defects called dislocations. Such sliding occurs over several crystal planes in a complex way.
Figure 9 – The effect of cold working on the microstructure of single phase alloys
Figure 10 – Simplified sketch of slip in a crystal lattice
We also see this deformation in the overall macrostructure: Figure 11 shows one-half of the cross-section of a washer in the process of being upset into a wedding band; the heterogeneity of deformation is evident in its fibrous appearance. Most cold-working processes result in uneven deformation through the cross-section. In rolling or extrusion, for example, most deformation occurs at the surface, especially if only small reductions per pass are imposed. Uneven deformation can give rise to initiation of cracking from the surface, as Battaini has explained8. Such non-uniform deformation can also have repercussions on the grain structure on subsequent annealing when the process of recrystallization takes place. Recrystallization results in new undeformed grains replacing the old deformed grains. The fibrous cold-worked structure is replaced by recrystallized new grains, as can be seen in Figure 12.
Figure 11 – Macrostructure of cross-section of a nickel white gold washer after partial upsetting towards making a wedding band (from reference 8)
Figure 12 – Recrystallized grains breaking up the fibrous cold-worked structure of washer in Figure 11 (from reference 8)
The resulting grain size after annealing depends on the amount of cold work, the annealing temperature and time. The more cold work, the finer is the recrystallised grain size. Annealing of material only cold-worked a small amount can result in large grains, which is undesirable (there is a critical minimum amount of cold-work necessary to initiate recrystallization, typically about 12-15% reduction). That is why annealing is often recommended only after substantial cold work, e.g. 60% reduction in thickness. The annealing temperature and time also play a part. Figure 13 shows a matrix of temperature and time of annealing for a 2N pale yellow 18 carat gold (cold-worked 70% reduction by rolling) and their effect on resulting annealed grain size (9). The variation in annealed grain size due to uneven amounts of deformation can be seen in Figure 14 which shows part of a cross-section of a ‘C’ shaped wire in an annealed 18 carat nickel white gold. The inside of the flange has a finer grain size and the outer regions have a coarser size, reflecting the uneven amount of deformation during rolling8. This may not be important in some instances, but it can be in others. Orange peel surfaces and cracking may result on further working, for example, where large grains are at the surface regions, as discussed earlier.
Figure 13 – Effect of temperature (horizontal axis) and time (vertical axis) on recrystallized grain size of a 2N 18 carat yellow gold (from reference 9)
Figure 15 shows schematically the effect of annealing temperature on hardness/strength , ductility and recrystallised grain size. An important point to note is that if the annealing temperature is too high, then grain growth can occur and very large grains can result. This is undesirable and can lead to the ‘orange peel’ rumpled surface and cracking on further working, as noted earlier. This can be a problem for craftsmen during gas torch annealing as there is less control of temperature during annealing and a tendency to overheat the piece. 14 carat coloured golds are especially prone to excessive grain growth during annealing, as Grimwade has noted10.
Figure 14 – Grain size variation in annealed cross-section of ‘C’ shaped cold rolled wire in 18 karat nickel white gold (from reference 8)
Figure 15 – Schematic: Annealing behaviour of cold-worked alloys as a function of annealing temperature. Note region of grain growth at high annealing temperatures
Two-phase alloys: Where an alloy consists of two (or more) phases, there is an effect on grain size after working and annealing. Working the alloy leads to a higher level of dislocations (crystal defects) in the matrix phase due to the presence of a hard second phase and this leads, in turn to a finer grain size after recrystallisation during annealing. Sterling silver is an example of a two-phase alloy.
Where the second phase is very fine, i.e. very small in diameter, and evenly distributed within the matrix phase, such as in age hardened alloys or micro-alloys, the second phase may inhibit recrystallisation as the fine particles of second phase can pin grain boundaries and so higher annealing temperatures may be necessary. In such alloys, a larger or more uneven grain size may result.
Alloying additions to refine grain size: grain refiners
Very small additions of grain refiners, typically at levels of about 0.1% or less, are often added to carat golds as fine powders to promote a fine grain size in the alloy. They include iridium, ruthenium and cobalt. Iridium and ruthenium are effective in casting, where they promote nucleation of crystals during solidification, and cobalt is effective during annealing of cold worked materials, where it promotes nucleation of grains during recrystallization. Iridium and ruthenium are insoluble in molten carat golds, so act as nucleation sites. Figure 16 shows the fine grain structure of an annealed 18 carat gold with iridium additions, compared to that without iridium. If too much is added or it is not well dispersed, one can get nests of hard particles at the surface that give rise to ‘comet tailing’ defects on polishing11. Note that grain refiners are not effective in silicon-containing carat gold alloys.
Figure 16 – Grain refining effect by iridium additions to an 18 ct gold. Left: with Ir, Right: without Ir (from reference 12)
The amount of cobalt that can be added is also sensitive to copper content of the alloy, as Ott has shown12. Its effect in grain refining a 14K gold is shown in Figure 17.
Other metals have also been shown to act as a grain refiner in gold alloys, such as boron, beryllium, yttrium and the rare earth metals, rhenium, rhodium, nickel, barium and zirconium13-16. In a more recent patent, a combination of iridium, rhodium and ruthenium added as a copper-master alloy is claimed to be effective17.
Figure 17 – Grain refining by cobalt in a 14ct gold. Left: with Co, Right: without Co (from reference 12)
Conclusion
In this presentation, it is concluded that, for jewellery manufacture, it is desirable to have a fine (small) grain size. It optimises strength and ductility and other properties such as corrosion resistance. Coarse grain sizes lead to ‘orange peel’ surfaces on subsequent deformation and enhance the tendency to crack as well as reducing strength, hardness and ductility. The yield strength is inversely proportional to the square of the grain size.
The influence of casting conditions on as-cast grain size and shape has been discussed in terms of nucleation of crystallites in the melt and solidification patterns. Melt temperature and mould material play an important role.
The influence of cold working on the as-cast macrostructure and the recrystallisation process during annealing has also been examined in terms of the resulting recrystallised grain size. Annealing temperature is an important factor to obtain a fine grain size. Too high a temperature can result in excessive grain growth, which is undesirable.
The use of grain refiners, such as iridium and cobalt in carat golds, to obtain a finer grain size has also been demonstrated. The mechanism is enhanced nucleation of crystallites during solidification or recrystallisation.
Acknowledgements
I would like to thank the organisers of the Jewellery Technology forum for inviting me to present once again and for their kind hospitality. I also thank many friends in the industry for allowing use of their figures and data. Many are courtesy of Mark Grimwade.
References
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Importanza del grano cristallino e del suo controllo nella gioielleria
una relazione di Chris Corti
Abstract
Il controllo delle dimensioni dei grani cristallini (o cristalliti) nella produzione gioielliera è importante per diversi motivi. Da esso dipendono le proprietà meccaniche, chimiche e fisiche delle leghe, che a loro volta influenzano il processo di produzione e le prestazioni d’uso del gioiello quando sarà indossato dal cliente. Esistono vari modi per controllare le dimensioni (e la forma) dei grani nelle leghe di metalli preziosi: attraverso la fusione, i processi di lavorazione e la ricottura, nonché con l’uso di additivi alliganti che affinano le dimensioni dei grani durante i trattamenti e la ricottura. Questo documento illustra ed esamina i metodi disponibili, descrivendone i principi, l’usabilità e l’efficacia. Verranno descritti anche alcuni dei problemi dovuti al mancato controllo dimensionale dei grani. La presentazione si concentrerà in particolar modo sulle leghe d’oro, ma senza trascurare gli altri metalli preziosi.
Introduzione
Chiunque abbia a che fare con la realizzazione di gioielli deve conoscere la natura dei metalli e delle leghe impiegati nel settore, e capire come l’alligazione e le lavorazioni dei metalli influiscano sulla microstruttura e, di conseguenza, sulle proprietà di questi materiali. Per il comparto gioielleria, tratteremo in particolare le leghe di metalli preziosi (oro, argento, platino e palladio, tutti metalli estremamente duttili), ma ciò che dirò vale in generale per la maggior parte dei metalli.
Due principali concetti da tenere a mente sono1:
La composizione, la microstruttura e i procedimenti di lavorazione delle leghe sono interdipendenti (Figura 1) e, insieme, determinano le proprietà di una lega, siano esse chimiche (per esempio la corrosione e la resistenza all’annerimento), fisiche (densità e colore) o meccaniche (resistenza, malleabilità, durezza). Queste, a loro volta, influenzano la producibilità e le prestazioni d’uso.
La maggior parte di metalli e leghe è composta da cristalliti, o grani cristallini, come li chiamiamo noi metallurgisti; pertanto, quasi tutte le leghe sono policristalline. Esistono rare eccezioni di monocristalli, come le leghe impiegate nella fabbricazione di turbine per motori d’aereo, oppure i metalli amorfi (detti anche vetrosi).
In questa presentazione, voglio concentrarmi sulle macro- e microstrutture delle leghe, in particolare sulle dimensioni e la forma dei grani. Come possiamo modificarle nei processi di fusione e alligazione, nelle lavorazioni meccaniche e nella ricottura? Perché sono importanti?
Figura 1 – Rappresentazione schematica dell’interrelazione fra composizione, microstruttura e procedimenti di lavorazione delle leghe, che ne determina le proprietà
Importanza delle dimensioni dei grani cristallini in gioielleria
Come ben sanno i gioiellieri presenti a questo Jewellery Technology Forum, i metallurgisti sono attenti alle dimensioni dei cristalliti, o grani cristallini, nelle loro leghe. Parliamo di “grani grossi” e “grani fini” e, in generale, diciamo di privilegiare questi ultimi per la produzione dei gioielli. I termini “grossi” e “fini” sono naturalmente relativi. Ai fini pratici, diciamo che “grosso” identifica i grani con dimensioni nell’ordine dei millimetri e “fine” i grani con dimensioni nell’ordine di decimi o centesimi di millimetro (1-100 micron). Le dimensioni dei grani possono essere misurate anche con valori numerici ASTM. Si tratta di un metodo comparativo per misurare le dimensioni dei grani. Più alto è il numero, più piccole sono le dimensioni dei grani.
Perché il controllo delle dimensioni dei grani (e della loro forma) è così importante? La risposta sta nella relazione tra i grani cristallini (cristalliti) e il “bordo di grano” – ovvero la linea di confine tra due grani adiacenti – e l’impatto che questi elementi hanno sui processi di deformazione meccanica. I bordi di grano sono le interfacce dove gli atomi del reticolo cristallino, appartenenti a grani adiacenti, non combaciano in modo omogeneo e creano una sorta di “imperfezione cristallina”, come illustrato nella Figura 2. Queste regioni, oltre ad accumulare impurità, sono più soggette a infragilimento. A temperatura ambiente o a temperature inferiori, il processo di deformazione del materiale sottoposto a un carico è governato essenzialmente dal meccanismo di propagazione delle dislocazioni (le dislocazioni sono difetti lineari della struttura cristallina, responsabili della deformazione lungo i piani di scorrimento). Senza entrare troppo nei dettagli, il risultato è che le leghe con grani più fini sono più resistenti di quelle a grani grossi; e questa caratteristica è espressa dalla legge di Hall-Petch, secondo cui la resistenza allo snervamento σs è inversamente proporzionale alla radice quadrata delle dimensioni del grano:
σs = m/d2
dove d è la dimensione media dei grani e m è una costante. La resistenza allo snervamento di un materiale (detta anche limite elastico o carico di snervamento, in inglese proof stress) è la sollecitazione richiesta per avviare una deformazione plastica ed è inferiore al carico di rottura UTS (Ultimate Tensile Strength).
I gioielli, quindi, sono più duri e resistenti se hanno un grano fine e, al tempo stesso, sono anche più duttili e meno soggetti a incrinature, infragilimento causato da impurità e spellamento superficiale dopo una deformazione. Poiché di norma i gioielli sono esposti a tensioni (carichi) relativamente semplici a temperature ambiente, sia in fase di produzione che durante l’uso, è preferibile scegliere materiali a grano fine. Questa regola di massima vale anche per i componenti ingegneristici non preziosi, come le lamiere metalliche per le carrozzerie delle auto e gli elettrodomestici.
Figura 2 – Rappresentazione schematica di un bordo di grano, dove è evidente l’irregolarità della struttura cristallina lungo la linea di interfaccia
Esistono però dei casi in cui i componenti ingegneristici sono soggetti a tensioni anche molto complesse, per lunghi periodi di tempo e ad alte temperature; per esempio le turbine e i dischi nei motori aeronautici e i tubi delle caldaie nelle centrali elettriche. A temperature così elevate, i principali fenomeni di deformazione sono lo scorrimento viscoso (creep) e la fatica. Lo scorrimento viscoso è la lenta deformazione di un materiale sottoposto a uno sforzo di entità non elevata ma costante; la fatica è la progressiva degradazione e rottura di un materiale sottoposto a carichi variabili nel tempo. Le sigillature in piombo nel tetto in tegole di una chiesa sono un esempio di metallo esposto ad alte temperature, che progressivamente si deforma sotto il suo peso. In queste condizioni, i bordi di grano si indeboliscono e possono scorrere l’uno sull’altro; ecco perché in questi casi è meglio avere dei grani più grossi, in modo da ridurre l’area dei bordi. Nelle applicazioni più gravose, come le palette rotanti delle turbine a gas, si preferisce eliminare del tutto i bordi di grano, utilizzando invece leghe solidificate direzionalmente e leghe monocristalline con un’ottima resistenza alla fatica e allo scorrimento viscoso. Una peculiarità di alcune leghe con grani molto fini e stabili è la cosiddetta “superplasticità”, ossia la capacità di deformarsi in modo molto esteso e progressivo, in particolari condizioni di temperatura, se sottoposte a tensioni di bassa entità – un po’ come la fonduta di formaggio svizzera! Diversi componenti in titanio per l’aeronautica, con forme complesse, vengono prodotti con questa tecnica, come per esempio le grandi palette dei motori Rolls Royce per gli aerei. È interessante notare come l’argento sterling a grano fine, in particolari condizioni2, possa subire una deformazione superplastica. Suppongo quindi che anche altre leghe di metalli preziosi abbiano la stessa capacità; ma finora questo aspetto non è stato sviluppato né sfruttato commercialmente nel nostro settore.
Esame della microstruttura: metallografia
Come molti di voi sapranno, siamo in grado di esaminare la microstruttura e misurare le dimensioni dei grani dei metalli utilizzati in gioielleria. Questo normalmente viene fatto con un microscopio ottico. L’esame delle dimensioni dei grani e della microstruttura dei materiali metallici è materia di studio della “metallografia”. La Figura 3 mostra la microstruttura di una lega d’oro in condizioni “as cast” e dopo lavorazione a freddo e ricristallizzazione. L’aspetto dei due campioni è molto diverso; spiegheremo più avanti perché.
Figura 3 – Microstruttura di una lega d’oro (a) in condizioni “as cast” e (b) dopo lavorazione e ricottura
Normalmente, se vogliamo esaminare la macrostruttura o le microstrutture di una lega, dobbiamo prendere una superficie piana e levigata, dato che i microscopi ottici hanno una profondità di fuoco limitata. Per osservare elementi come i bordi di grano e le seconde fasi, spesso è necessario erodere la superficie con un liquido corrosivo, tipo un acido. Poiché i bordi di grano sono meno perfetti dei cristalli, intaccando la superficie si rivelano facilmente. Dato che i cristalli sono orientati in diverse direzioni rispetto al piano della superficie, anche loro vengono erosi in progressione successiva e quindi, rivelandosi, creano dei contrasti o appaiono di colore diverso all’occhio umano. Se è presente più di una fase, anche queste fasi si rivelano in modo diverso con l’erosione e di solito appaiono di colori diversi oppure alcune sono più scure di altre.
Se occorre un maggiore ingrandimento rispetto a ciò che possiamo ottenere con un microscopio ottico, oppure se vogliamo osservare una superficie irregolare come per esempio una frattura, utilizziamo un microscopio elettronico a scansione (SEM). In questo caso poco importa se la superficie non è liscia e piatta come nella microscopia ottica; anzi, possiamo osservare le diverse fasi attraverso un contrasto che rappresenta le differenze nel numero atomico, senza bisogno di intaccare la superficie con un acido (vedi per esempio la Figura 22 nel riferimento bibliografico 3)3,4. Gli elementi più pesanti risultano più bianchi al microscopio elettronico, mentre quelli più leggeri sono più scuri: questo crea dei contrasti che variano in base alla composizione delle fasi delle leghe.
Fusione e colata
Attraverso i processi di fusione e colata si possono produrre leghe della composizione desiderata e con forme specifiche. Può trattarsi di forme ben precise, come nella fusione a cera persa, oppure di semilavorati, come nella colata in pani, che verranno ulteriormente lavorati per modificarne la forma, la struttura e le proprietà. La colata prevede la fusione e poi la solidificazione del metallo fuso. Le successive lavorazioni meccaniche dei pani (o lingotti) ci permettono di rompere le strutture grossolane non uniformi per ottenere strutture più raffinate e quindi più adatte al tipo di produzione che ricerchiamo e alla destinazione d’uso, migliorando fra l’altro anche le proprietà dei materiali.
La struttura delle leghe pressofuse dipende dalla velocità a cui il metallo viene fatto raffreddare e solidificare – la quale, a sua volta, dipende dalle dimensioni dello stampo e dalla conducibilità termica del materiale pressofuso. Per questo, la struttura dei grandi pani è diversa da quella delle piccole fusioni a cera persa. Tra poco vedremo come le condizioni di colata influiscono sui materiali.
Effetti della solidificazione su dimensioni dei grani e forma
Come noto5,6, i metalli puri solidificano a una temperatura fissa: per esempio l’oro solidifica a 1064°C e l’argento a 962°C. La maggior parte delle leghe*, invece, solidifica in un intervallo di temperature: la temperatura del liquidus è la temperatura al di sopra della quale la lega è completamente fusa e al di sotto della quale inizia la solidificazione; il solidus è la temperatura alla quale la solidificazione è completa e quindi, al di sotto di questo valore, la lega è completamente solida. Nei punti intermedi tra liquidus e solidus, la lega ha delle parti liquide e delle parti solide e si trova quindi in uno stato “pastoso”. Le caratteristiche di solidificazione e la struttura che ne deriva sono influenzate dal divario di temperatura tra liquidus e solidus e dalla distribuzione delle fasi.
[*Ci sono alcune eccezioni, come le leghe eutettiche che solidificano a una temperatura fissa come i metalli puri.]
Per capire il processo di solidificazione, è utile conoscere la struttura atomica e il modo in cui gli atomi si uniscono per formare il materiale solido. Nello stato liquido, gli atomi si muovono in uno schema dinamico e non strutturato. Alcuni atomi si uniscono per breve tempo, formando un piccolo agglomerato, ma poi subito si separano.
Quando raffreddiamo un liquido (nel nostro caso un metallo fuso), i piccoli agglomerati di atomi si uniscono e restano coesi, formando un nucleo. La formazione di nuclei tende a verificarsi in siti precisi, per esempio in vicinanza delle pareti dello stampo e intorno a particelle di impurità/inclusioni; ma può avvenire anche in punti casuali della massa liquida. A mano a mano che la temperatura scende, sempre più atomi si aggiungono ai piccoli agglomerati stabili che formano i nuclei, unendosi in modo strutturato e dando così vita al reticolo cristallino del metallo o della lega. Nel caso dei metalli preziosi, si forma il sistema cubico faccia-centrato che è stato già trattato in un’altra presentazione1. A questo punto abbiamo gli embrioni di cristalli (cristalliti) che costituiscono la nostra lega. Una rapida velocità di raffreddamento durante la solidificazione dà luogo alla formazione di un maggior numero di nuclei; di conseguenza – poiché ogni nucleo si evolve in un cristallite o grano – avremo una struttura a grano fine. Se la velocità di raffreddamento è più lenta, si formeranno meno nuclei e avremo una struttura più grossolana. Proprio perché la nucleazione avviene intorno a particelle/inclusioni, spesso si aggiungono degli affinatori di grano insolubili, come l’iridio e il rutenio nelle leghe d’oro, per favorire la formazione di nuclei stabili.
I nuclei crescono con l’aggiunta di nuovi atomi dal materiale liquido, che si uniscono secondo le direzioni preferenziali del cristallo, estendendosi dalle facce dei cubi in progressive ramificazioni. Il risultato è una struttura arborescente chiamata “dendrite”. Tutti i nuclei si sviluppano in dendriti, ognuna delle quali ha un orientamento che dipende dall’orientamento del nucleo originario. Ogni dendrite continua a crescere finché non collide con una dendrite adiacente. La linea di contatto tra le due forma un bordo, che chiamiamo “bordo di grano”, ovvero l’interfaccia tra due grani cristallini o cristalliti. Qui, gli atomi di ciascun reticolo non si innestano in modo ordinato e uniforme, ma creano una sottile regione di imperfezione cristallina, di cui abbiamo già parlato in precedenza. La Figura 4 mostra alcune dendriti in una lega di platino7. Si vedono chiaramente diverse dendriti, ognuna delle quali punta verso una direzione diversa. Vediamo spesso queste dendriti nelle cavità di ritiro delle fusioni a cera persa. Se viene alimentato altro metallo liquido, gli spazi tra le dendriti via via si chiudono fino a ottenere il metallo solido. Se non si aggiunge una quantità sufficiente di metallo liquido, resteranno delle cavità di ritiro e quindi delle porosità.
Figura 4 – Immagine SEM di dendriti in una lega Pt-Ru, osservate in una cavità di ritiro (tratta dal rif. 7, vedi Nota bibliografica)
Se esaminiamo una sezione di metallo pressofuso dopo averne trattato la superficie con un corrosivo, come quella nella Figura 3, vediamo chiaramente la struttura dendritica. Notiamo anche che il centro delle dendriti viene intaccato in modo diverso dalle zone esterne; questo è dovuto al fenomeno della segregazione chimica, ovvero il metallo che solidifica prima ha una composizione chimica diversa da quello che solidifica dopo. È il cosiddetto “coring”. Perché questo accada si deduce dalla rappresentazione schematica delle fasi6.
Quando versiamo del metallo fuso in uno stampo, la solidificazione inizia vicino alle pareti dello stampo, dove la temperatura è più bassa, procedendo poi verso l’interno. Se si utilizza uno stampo metallico freddo (per esempio in ferro), come si fa di solito per le colate in pani nelle lingottiere, la velocità di raffreddamento è rapida. Dapprima si forma un sottile strato a grano fine (chill layer) a causa dell’alta velocità di nucleazione, poi iniziano a formarsi dei grani più lunghi e sottili, chiamati “grani colonnari”, dall’esterno verso l’interno – dal chill layer verso il centro del lingotto (Figura 5).
Figura 5 – La solidificazione inizia dalle pareti dello stampo, più fredde, e procede verso l’interno
Figura 6 – Struttura dei grani di un metallo colato in una lingottiera a temperatura relativamente alta
Se la temperatura della colata metallica è relativamente alta, la zona colonnare, formata da grani allungati, si estende fino al centro del lingotto (Figura 6). Non è una struttura auspicabile se il lingotto dovrà essere poi laminato, poiché potrebbe fratturarsi nel mezzo (fenomeno del cosiddetto alligatoring, Figura 7), la zona dove fra l’altro tendono a concentrarsi le impurità, poiché è l’ultima porzione del metallo a solidificarsi.
Figura 7 – Frattura a cerniera (alligatoring) di un pane in lega d’oro durante la laminazione
Viceversa, se la temperatura della colata metallica è bassa, la nucleazione avviene con una distribuzione più uniforme nella restante massa liquida, prima che i grani colonnari raggiungano il centro, e si ha una struttura più equiassica nella regione centrale (Figura 8).
Figura 8 – Struttura dei grani di un metallo colato in una lingottiera a temperatura relativamente bassa
Quando si utilizza uno stampo ceramico (gesso), come nelle fusioni a cera persa, la velocità di raffreddamento è nettamente più lenta e si formano grani equiassici in tutta la colata. Questa microstruttura è migliore. La temperatura della fusione e dello stampo hanno quindi un ruolo importante nel determinare le dimensioni dei grani in condizioni “as cast”. Più alta è la temperatura, più grossolane saranno le dimensioni dei grani.
Affinare le microstrutture delle pressofusioni ottimizzando le dimensioni dei grani
Come si è visto, non sempre le microstrutture dei metalli pressofusi sono ottimali per la produzione e le applicazioni previste. La segregazione chimica (coring) e le strutture grossolane possono compromettere le proprietà meccaniche e la resistenza alla corrosione. Si interviene quindi sui semilavorati in pani, con due obiettivi: (a) dare al metallo la forma desiderata (lamina, filo, ecc.) e (b) affinare la struttura. Questo può voler dire rompere i grani più grossi, ridurre la segregazione e affinare le seconde fasi più grossolane per ottenere strutture con distribuzione più uniforme e grani più piccoli.
Gran parte di questi risultati si ottiene attraverso la lavorazione a caldo del materiale: tramite forgiatura e laminazione, estrusione e/o trafilatura, o con combinazioni di più metodi. In questo modo si affina la struttura e il metallo, addolcito dalla ricottura, è più morbido e duttile. Nelle lavorazioni a caldo, il metallo, deformandosi, raggiunge temperature sufficientemente alte perché avvenga una ricristalizzazione (ricottura) durante la deformazione.
Se vogliamo aumentare la durezza e la resistenza, impartendo una forma più accurata e una migliore qualità superficiale, allora dobbiamo lavorare a freddo il materiale, di solito a temperatura ambiente. In questo caso la temperatura è insufficiente per innescare la ricottura.
Se lavoriamo troppo un metallo, si possono aprire cricche e fratture; quindi dobbiamo di tanto in tanto ricuocere il metallo lavorato per ripristinare quelle condizioni di morbidezza e duttilità che consentono un’ulteriore lavorazione. La ricottura comporta la ricristalizzazione del materiale, in cui i grani deformati si ricostituiscono e formano nuovi grani non deformati attraverso un processo di nucleazione e crescita analogo a quello della solidificazione.
Lavorazioni a freddo e ricottura: effetti su microstruttura e dimensioni dei grani
Con la lavorazione a freddo, la forma dei metalli cambia e cambia anche la microstruttura del materiale, perché i grani devono subire una deformazione per adeguarsi alla nuova forma. La Figura 9 rappresenta schematicamente una riduzione dello spessore per effetto della laminazione. Per ottenere questo risultato, i piani di atomi in ciascun grano (cristallite) devono scorrere l’uno sull’altro, come illustrato nella Figura 10, sfruttando i difetti cristallini rappresentati dalle cosiddette “dislocazioni”. Lo scorrimento avviene su più piani, in maniera complessa.
Figura 9 – Effetto della lavorazione a freddo sulla microstruttura delle leghe monofasiche
Figura 10 – Rappresentazione schematica dello scorrimento in un reticolo cristallino
Vediamo questa deformazione anche nella macrostruttura generale: la Figura 11 mostra la sezione di un anello durante la lavorazione di upsetting che lo trasformerà in una fede nuziale; l’eterogeneità della deformazione è evidente nel suo aspetto fibroso. La maggioranza dei processi di lavorazione a freddo dà luogo a deformazioni disomogenee visibili in sezione. Nella laminatura e nell’estrusione, per esempio, la deformazione avviene principalmente in superficie, specie se con ogni passata la riduzione impressa è minima. Una deformazione disomogenea può provocare rotture che partono dalla superficie, come ha ben spiegato Battaini8. Le deformazioni non uniformi possono avere ripercussioni anche sulla struttura dei grani nella successiva ricottura, quando avviene il processo di ricristallizzazione. Con la ricristallizzazione, i vecchi grani deformati sono sostituiti da nuovi grani non deformati. Durante la ricristallizzazione, la struttura fibrosa lavorata a freddo viene sostituita da nuovi grani, come si vede nella Figura 12.
Figura 11 – Macrostruttura di un anello in oro bianco nichelato dopo una parziale deformazione di upsetting per la realizzazione di una fede nuziale (tratta dal rif. 8, vedi Nota bibliografica)
Figura 12 – Grani ricristallizzati che sostituiscono la struttura fibrosa del metallo lavorato a freddo nella Figura 11 (tratta dal rif. 8, vedi Nota bibliografica)
Le dimensioni dei grani risultanti dopo la ricottura dipendono dall’entità della lavorazione a freddo, dalla temperatura di ricottura e dal tempo. Più il metallo viene lavorato a freddo, più fine sarà la struttura dei grani ricristallizzati. Se la lavorazione a freddo prima della ricottura è troppo breve, i grani restano ancora grossi, il che non è auspicabile (esiste una “soglia critica” minima di lavorazione a freddo necessaria per dare luogo alla ricristallizzazione, tipicamente una riduzione del 12-15%). Per questo si raccomanda di effettuare la ricottura solo dopo una buona lavorazione a freddo, per esempio una riduzione di spessore del 60%. Anche la temperatura e il tempo di ricottura giocano un ruolo determinante. La Figura 13 riporta una matrice di temperatura e tempo di ricottura per un oro a 18 carati giallo pallido 2N (laminato a freddo per ridurre del 70% il suo spessore), con l’effetto delle due variabili sulle dimensioni dei grani dopo la ricottura (9). La Figura 14 mostra la variazione delle dimensioni dei grani in seguito a ricottura, dovuta a una deformazione disomogenea, nella sezione di un filo a “C” in oro bianco nichelato a 18 carati. L’interno della flangia ha grani più fini mentre le regioni periferiche hanno grani più grossi, a causa della deformazione non uniforme durante la laminazione8. Questo può essere importante in alcune situazioni e meno importante in altre. Lavorando ulteriormente il metallo, per esempio, si potrebbero avere spellamenti e fratture nelle regioni superficiali a grani grossi, come detto in precedenza.
Figura 13 – Effetto della temperatura (asse orizzontale) e del tempo (asse verticale) sulle dimensioni dei grani ricristallizzati di un oro a 18 carati giallo pallido 2N (tratta dal rif. 9, vedi Nota bibliografica)
La Figura 15 illustra schematicamente l’effetto della temperatura di ricottura su durezza/resistenza, duttilità e dimensioni dei grani ricristallizzati. È importante notare che, se la temperatura di ricottura è troppo elevata, si ha una crescita dei grani e al termine del processo si potrebbero avere grani troppo grossi, che compromettono le caratteristiche del materiale e possono causare spellamenti e cricche in caso di ulteriori lavorazioni, come già osservato. Questo può comportare problemi per gli artigiani che lavorano con la torcia a gas, poiché c’è un minor controllo della temperatura durante la ricottura e in genere si tende a surriscaldare il pezzo. Gli ori colorati a 14 carati sono particolarmente soggetti a un’eccessiva crescita dei grani durante la ricottura, come sottolinea Grimwade10.
Figura 14 – Variazione delle dimensioni dei grani in una sezione di filo a “C” in oro bianco nichelato a 18 carati, laminato a freddo e ricotto (tratta dal rif. 8, vedi Nota bibliografica)
Figura 15 – Rappresentazione schematica del comportamento di leghe lavorate a freddo e ricotte, in funzione della temperatura di ricottura. Si noti la regione di crescita dei grani a elevate temperature di ricottura
Leghe bifasiche: se la lega è composta da due (o più) fasi, i processi di lavorazione e ricottura hanno un impatto sulle dimensioni dei grani. La lavorazione delle leghe determina un aumento della dislocazione (difetti cristallini) nella matrice, dovuto alla presenza di una seconda fase più dura; questo porta, a sua volta, a una riduzione delle dimensioni dei grani dopo la ricristallizzazione in seguito a ricottura. Un esempio di lega bifasica è l’argento sterling.
Se la seconda fase ha una struttura molto fine, cioè grani di piccolo diametro uniformemente distribuiti (come nelle leghe indurite per invecchiamento e nelle microleghe), la seconda fase può inibire la ricristallizzazione, poiché le particelle fini della seconda fase “bloccano” i bordi di grano rendendo necessario un aumento della temperatura di ricottura. In queste leghe può formarsi una struttura a grani più grossi o irregolari.
Affinatori di grano per compattare la lega aumentando i punti di nucleazione
Per ottenere un grano più fine nelle leghe d’oro, spesso si aggiungono minime quantità di “affinatori di grano” in polvere fine (normalmente lo 0,1% o percentuali inferiori). Si tratta per esempio di iridio, rutenio e cobalto. L’iridio e il rutenio sono efficaci nella fusione, dove favoriscono la nucleazione dei cristalli durante la solidificazione; il cobalto è utile nella ricottura dei materiali lavorati a freddo, poiché favorisce la nucleazione dei grani durante la ricristallizzazione. Iridio e rutenio sono insolubili negli ori fusi e fungono quindi da siti di nucleazione. La Figura 16 mostra la struttura a grano fine di un oro a 18 carati addizionato di iridio, dopo la ricottura, in confronto a uno senza iridio. Se la quantità di affinatore è eccessiva o non è ben dispersa, si possono formare coalescenze di puntini duri a livello superficiale, che danno luogo al difetto noto come “effetto cometa” in fase di lucidatura11. Va ricordato che gli affinatori di grano non sono efficaci nelle leghe d’oro contenenti silicio.
Figura 16 – Effetto dell’iridio come affinatore di grano in un oro a 18 carati. A sinistra: con Ir; a destra: senza Ir (tratta dal rif. 12, vedi Nota bibliografica)
La quantità di cobalto addizionabile dipende anche dal contenuto in rame della lega, come dimostrato da Ott12. La Figura 17 mostra il suo effetto affinatore in un oro a 14 carati.
Anche altri metalli hanno dimostrato di avere capacità di affinamento del grano nelle leghe d’oro: per esempio boro, berillio, ittrio e i metalli rari, renio, rodio, nichel, bario e zirconio13-16. Recentemente è stato brevettato un mix di iridio, rodio e rutenio che, aggiunto alle leghe primarie di rame, agirebbe da affinatore di grano17.
Figura 17 – Aggiunta di cobalto come affinatore di grano in un oro a 14 carati. A sinistra: con Co; a destra: senza Co (tratta dal rif. 12, vedi Nota bibliografica)
Conclusione
In questa presentazione abbiamo spiegato perché, in gioielleria, sia preferibile avere una struttura cristallina a grano fine (cioè con grani di piccole dimensioni), che ottimizza resistenza, duttilità e altre caratteristiche dei materiali, come la resistenza alla corrosione. Una struttura grossolana può portare a difetti come lo spellamento superficiale nelle successive deformazioni, aumentare il rischio di fratturazione e ridurre resistenza, duttilità e durezza. La resistenza allo snervamento è inversamente proporzionale al quadrato delle dimensioni dei grani.
Abbiamo visto come le condizioni di fusione e colata incidano sulle dimensioni e la forma dei grani “as cast”, influenzando la nucleazione dei cristalliti nella massa fusa e il processo di solidificazione. Un ruolo importante giocano anche la temperatura di fusione e il materiale dello stampo.
Abbiamo esaminato gli effetti delle lavorazioni a freddo sulla macrostruttura dei metalli in condizioni “as cast” e la ricristallizzazione per ricottura, soffermandoci sulle dimensioni dei grani ricristallizzati. La temperatura di ricottura è determinante per ottenere un grano fine. Una temperatura troppo elevata può innescare un’eccessiva crescita dei grani, con conseguenze indesiderate.
L’aggiunta di affinatori di grano, come l’iridio e il cobalto, è molto utile per affinare la struttura delle leghe d’oro. Questi elementi favoriscono la nucleazione dei cristalliti in fase di solidificazione e ricristallizzazione.
Ringraziamenti
Ringrazio gli organizzatori del Jewellery Technology Forum per avermi voluto ancora una volta come relatore e per la cordiale accoglienza. Grazie anche ai molti amici del settore che mi hanno permesso di usare le loro illustrazioni e i loro dati, molti dei quali gentilmente concessi da Mark Grimwade.
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