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Simulare il processo di colata per oreficeria

Simulare il processo di colata per oreficeria

una relazione di Vera Benincasa

Simulare i processi è da anni obbligo in molte realtà dei più disparati settori produttivi, basti pensare al settore aeronautico dove è necessario essere certi che i componenti prodotti siano esenti da difettosità microstrutturali anche minime e dove un pezzo di scarto non può essere rilavorato.
La simulazione dei processi di colata consente di identificare le aree soggette a difetti e aiuta a progettare il sistema di colata nel modo più efficiente, consente di analizzare le cause di inefficienza e di comprendere come aumentare la produttività.
Questo sistema è utilizzato da più di vent’ anni nei processi di fonderia legati al settore automotive e aerospace, ma da qualche anno si è avvicinata anche al nostro settore.
Nel mondo orafo la microfusione a cera persa è sempre stata legata all’esperienza degli operatori oppure ad operazioni di trial and error.
Oggi, con i software di simulazione, si può ottimizzare tutto il processo a partire dal primissimo disegno del prototipo fino alla produzione in massa dei gioielli.


Il processo di microfusione è uno dei più antichi metodi per la produzione di manufatti di svariato genere.
Popoli e culture diverse hanno impiegato questo processo per la produzione di strumenti, oggetti e statue in bronzo. Un esempio famosissimo sono i bronzi di Riace, ritrovati in mare nel 1907 dopo 2500 anni dalla loro produzione nella Grecia del VI secolo a.C.
Nel corso dei secoli, il processo si sviluppato, evolvendo da semplice metodo artistici e dimostrando una eccezionale versatilità.
La microfusione, o fusione a cera persa, viene utilizzata da tantissimi anni nei settori tecnologici dell’ automotive e dell’ aerospace tuttavia tale processo, benché molto affidabile, non è esente da difetti.

Nel mondo del gioiello i difetti più diffusi e più problematici sono sicuramente:
– mancato riempimento del getto
– porosità da ritiro
Mentre per la prima tipologia di difettosità le casistiche sono limitate a produzioni specifiche (filigrane, leghe particolari, geometrie complesse, ..) la seconda è riscontrabile sul 100% dei prodotti microfusi poiché intrinsecamente legato al processo di solidificazione delle leghe metalliche.

È su quest’ultima categoria di difettosità che focalizzeremo la nostra attenzione.
Fino a pochi decenni fa, per affrontare la problematica delle porosità da ritiro era obbligatorio passare attraverso processi di “Trial and Error”.
Con pratica ed esperienza si puntava a minimizzare ed occultare il difetto.
Per arrivare ad un risultato apprezzabile era necessario investire modeste quantità di tempo e metallo.
Simulare il processo in un ambiente virtuale, consente di minimizzare questo investimento, giungendo in tempi ridotti ad un risultato migliore.

Oggi i software di simulazione sono giunti ad un alto livello di precisione consentendo di ottenere ottimi risultati termini di tempo di sviluppo del prodotto e consentendo di migliorare il processo produttivo.
L’utilizzo del software di simulazione del processo di colata nel settore orafo è relativamente recente ma in costante espansione a causa di una crescente richiesta di qualità da parte delle grandi case orafe.

I software di simulazione funzionano grazie alla conoscenza approfondita dell’intero processo, per questo motivo maggiore è il loro utilizzo, maggiori informazioni si hanno a disposizione per configurare il processo, maggiore sarà la rispondenza dei riscontri forniti dal SW alla realtà industriale.

Il software utilizzato per questo studio è della casa francese ESI Group e si chiama ProCAST.
Si tratta di uno strumento avanzato e completo, sul mercato da oltre 20 anni ed ampiamente utilizzato in diversi campi industriali. Il software si basa sulla tecnologia agli elementi finiti ed è in grado di simulare un lungo elenco di processi reali. Nel caso in studio l’attenzione è focalizzata sul modulo per la simulazione del processo di colata a cera persa.

Figura 1 – processi simulabili con Procast

Per poter utilizzare al meglio il software è necessario avere delle conoscenze di metallurgia e del processo produttivo. Il tecnologo di processo può con l’ausilio del SW studiare le migliori condizioni affinché il processo di microfusione sia affidabile e robusto.

Il software consta dei seguenti ambienti:
– MESH
– CAST
– VISUAL

MESH è l’ambiente all’interno del quale il nostro oggetto, a partire dal modello CAD, viene scomposto in elementi minori (mesh) che il software usa per sapere i punti ove calcolare le equazioni di scambio termico e di solidificazione. La dimensione delle mesh è scelta dall’operatore in base a diversi fattori. Oltre all’oggetto del nostro studio, bisogna disegnare e “meshare” anche lo stampo all’interno del quale andremo a colare il metallo per poter simulare in maniera accurata il nostro processo.

CAST è l’ambiente dove inserire tutti i parametri di cui tener conto nel nostro processo: tipo di lega, tipo di stampo, temperature di processo, pressione di ingresso del metallo nello stampo, sezione di ingresso, scambio termico, fenomeni di irraggiamento, etc..

VISUAL è l’ambiente idoneo all’osservazione e alla misurazione dei risultati della simulazione e in base a ciò che si vuole analizzare e misurare si possono visualizzare grandezze fisiche differenti (range di temperature, frazione solida, vuoti, porosità, velocità di flusso, ecc..)

Con l’ausilio di Procast è molto semplice prevedere dove saranno i difetti sul particolare microfuso e quali sono le entità effettive di questi difetti.

Grazie al software possiamo sviscerare in poco tempo il difetto della porosità da ritiro.

Il problema della porosità da ritiro è strettamente correlato al concetto di solidificazione. La porosità da ritiro, infatti, viene a crearsi quando il metallo passa dallo stato liquido allo stato solido: il metallo subisce una contrazione volumetrica e nella zona del ritiro di volume possono affiorare in superficie le strutture dendritiche che si accrescono in fase di solidificazione della lega.

Figura 2 – diagramma Volume in funzione della temperatura

Le dendriti sono strutture ad albero che si formano durante la solidificazione delle leghe metalliche. Il metallo forma cristalli che si accrescono e solidificano nelle direzioni cristallografiche energeticamente più favorevoli. Con un raffreddamento rapido l’accrescimento delle dendriti è limitato. Mentre con un raffreddamento lento si ottengono delle dendriti di dimensioni maggiori, nei casi peggiori visibili a occhio nudo nella zona del ritiro volumetrico.

Figura 3 – Rappresentazione struttura di accrescimento dendritica in una lega

La contrazione volumetrica è intrinseca al processo di solidificazione e, quindi, la porosità da ritiro è una difettosità inevitabile nel processo di fusione.
La porosità da ritiro non può essere eliminata, ma può essere veicolata in punti strategici promuovendo la solidificazione direzionale.

Nella solidificazione di una lega metallica, l’ultimo volume a solidificare, ovvero quello che rimane “caldo” per più tempo, sarà quello che conterrà le porosità da ritiro.
Nella progettazione di un sistema di colata è fondamentale, quindi, lo studio dei fattori termodinamici che portano ad una solidificazione controllata: i canali di colata, gli alimentatori e le materozze vanno studiati e dimensionati in maniera tale da riuscire ad alimentare correttamente il pezzo da realizzare e allo stesso tempo “trattenere” il ritiro fuori dalle zone di interesse.

Per studiare la solidificazione degli oggetti microfusi è importante considerare il modulo di raffreddamento.
Il modulo di raffreddamento, o modulo termico, è dato da rapporto tra massa e superficie di un oggetto M=V/S. A parità di volume, se la superficie dell’oggetto è maggiore, il tempo di solidificazione diminuisce drasticamente. Il tempo di solidificazione è una funzione di M, e dipende anche dal tipo di materiale e dalla geometria dell’oggetto. Studiare il tempo di solidificazione è fondamentale per veicolare la direzione di solidificazione.

Prendiamo ad esempio un oggetto molto semplice, come può essere una fede.
Avendo una geometria circolare e simmetrica il punto in cui andremo a mettere l’alimentatore non ha importanza. Ha importanza, però, la sezione e la geometria di quest’ultimo. Di seguito sono riportati come esempio le simulazioni della solidificazione della stessa fede ma con tre alimentatori a sezione crescente.

Figura 4 – analisi solidificazione della fede nei tre casi studio

Come si può vedere nell’ultima immagine, l’alimentatore con sezione maggiore e rastremato verso la sezione di imbocco del metallo è quello che consente il corretto riempimento del getto e la solidificazione direzionale della fede.

A riprova della correttezza della progettazione dell’alimentatore 3 possiamo vedere, sempre dalla simulazione, la riduzione di porosità (in viola) nell’ultima immagine.

Figura 5 – porosità nelle fedi con alimentatore a sezione crescente

Prendiamo ora ad esempio un’altra geometria semplice di un anello, ma stavolta con sezione variabile.

Figura 6 – anello a sezione variabile

In questo caso, essendo la geometria non simmetrica, il punto in cui andremo ad alimentare l’anello è di fondamentale importanza. Di seguito vediamo nella fig 5 l’andamento della solidificazione a seconda del punto dove si è scelto di mettere l’alimentazione del getto.

Figura 7 – solidificazione dell’anello con alimentazione in punto A o in punto B

La solidificazione osservata nella figura precedente, conduce alla presenza di porosità nelle zone evidenziate nella figura 6.

Figura 8 – evidenza delle porosità da ritiro rilevate dopo simulazione anello con alimentazione in punto A o in punto B

I risultati possono essere verificati osservando i componenti fusi. E’ molto importante, nell’utilizzo dei software di simulazione, tarare l’affidabilità del software con il proprio processo di fusione.
Di seguito sono riportate le immagini delle superfici dell’anello analizzato e fuso con i due diversi posizionamenti dell’alimentatore:

Figura 9 – porosità visibile su anello grezzo di fusione. A sx anello con alimentazione A e a dx anello con alimentazione B

Figura 10 – evidenza di un poro macroscopico sulla superficie dell’anello con alimentazione B

Figura 11 – due fedi lucidate. In evidenza sulla destra porosità da ritiro su pezzo fuso con alimentazione B

Allo stesso modo prendendo in esame un oggetto di dimensioni maggiori, possiamo vedere che le stesse regole della solidificazione direzionale sono applicabili anche in questo caso.
La figura in esame è una “C” che potrebbe essere utilizzata per realizzare la metà di un bracciale.

Figura 12 – geometria a “C” per realizzazione bracciali

Nel primo esempio prendiamo in considerazione il pezzo con la stessa tipologia di alimentazione ma fuso con parametri diversi. In particolare si può notare la variazione di risposta al variare della temperatura, sia di stampo che di fusione.

Figura 13- solidificazione – a sx Tcil:Tc1 Tfus:Tf1 ; a dx Tcil:Tc2 Tfus:Tf2 (con Tc2>Tc1 e Tf2>Tf1)

Figura 14 – porosità – a sx Tcil:Tc1 Tfus:Tf1 ; a dx Tcil:Tc2 Tfus:Tf2 (con Tc2>Tc1 e Tf2>Tf1)

Come si può notare dalle immagini, al crescere della temperatura le dimensioni delle porosità decrescono. Questo avviene perché si da più tempo al metallo per solidificare in maniera direzionale. In questo caso, tuttavia, il solo variare dei parametri di processo non riesce a risolvere il problema alla radice.
È necessario, quindi, modificare l’alimentazione. Prendiamo in esame due tipologie di alimentazioni.

Figura 15 – alimentazione A – alimentazione B

Di seguito possiamo vedere la simulazione del processo di solidificazione in entrambi casi.

Figura 16 – solidificazione bracciale nel caso di alimentazione A (sx) o B (dx)

Analizzando la figura a sinistra si può notare che i sei raggi di alimentazione stanno solidificando prima che il bracciale sia esso stesso solidificato (come nell’esempio precedente), “chiudendo” le strade al metallo per continuare ad alimentare correttamente il pezzo. Nella figura a destra, invece, si nota come i quattro raggi vadano ad alimentare bene il pazzo consentendo una solidificazione direzionale verso il cuore del piantone.

Figura 17 – analisi delle porosità nei due casi di alimentazione A o B

La riprova dell’efficienza dell’alimentazione tipo B è data dall’analisi delle porosità.
In figura 16 si può notare come nel caso B il pezzo sia esente da porosità, mentre nel caso A si riscontrino sei nuclei di porosità da ritiro esattamente dove il metallo ha raffreddato per ultimo sul pezzo.

Le evidenze di queste simulazioni sono riportate nelle immagini seguenti.

 

Figura 18 – bracciali grezzi di fusione: a sx alimentazione A, a dx alimentazione B

Figura 19 – particolare che mostra porosità da ritiro già dal grezzo sul bracciale con alimentazione A

Figura 19 – a sx bracciale con alimentazione A a dx alimentazione B

L’analisi di queste geometrie semplici dimostra la validità della simulazione. Il software è in grado di prevedere con precisione quali saranno le zone affette da difetti e l’entità di questi ultimi.
La simulazione del processo di microfusione è uno strumento utile al tecnologo che non elimina del tutto il processo di “Trial and Error” ma lo limita all’ambiente virtuale della simulazione abbattendo i tempi e i costi dell’industrializzazione del prodotto.

Tabella 1 – vantaggi simulazione calcolati su casi reali di studio

Lo strumento fondamentale per l’utilizzo del software di simulazione di colata è la modellazione CAD 3D.
Come si è già detto, infatti, per poter simulare il processo di colata è indispensabile partire da un modello 3D, sia del sistema di colata che vogliamo simulare sia dello stampo all’interno del quale andremo a colare il metallo.
Quanto più è accurato il modello di partenza, tanto più saranno accurati i risultati della simulazione.
La modellazione CAD offre anche il vantaggio di poter disegnare e simulare in tempi rapidi diverse tipologie di alimentazioni e di sistemi di colata.
Simulando diverse alimentazioni potremmo stabilire la più idonea al nostro particolare.
Prevedendo la simulazione di colata all’inizio del processo di progettazione, sarebbe possibile individuare da subito eventuali errori di design e intervenire modificando la geometria del modello.
Laddove non è possibile modificare il design del pezzo, si dovrà forzatamente andare ad agire su altri parametri (alimentazioni, parametri di processo, etc..) 

Una volta capita l’importanza della simulazione sul singolo particolare, è possibile esplorare nuove possibilità per sistemi di colata complessi.
Simulare un intero albero di fusione consente, ad esempio, di analizzare il processo nel suo insieme e di ottimizzarlo.

Figura 20 -simulazione colata di un alberello

Concludendo l’introduzione di questa tecnologia nella filiera della creazione orafa è senza dubbio di aiuto alla transizione verso una produzione più performante e mette il “turbo” alle aziende che vogliono impiegare forze e mezzi per implementarla nei loro processi produttivi.

Per poter sfruttare al meglio questa tecnologia occorrono mezzi e studio, tuttavia i vantaggi risultanti dal suo utilizzo (il risparmio di tempo, mezzi e l’efficacia dei risultati ottenuti) abbattono tutte le incertezze. Nel tempo questo diventerà l’unico modo di procedere per industrializzare un manufatto orafo, così come già avviene in tutti gli altri settori di produzione.


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Diamante sintetico: un problema commerciale per il futuro?

Diamante sintetico: un problema commerciale per il futuro?

una relazione di Antonello Donini

Stiamo parlando di DIAMANTE SINTETICO.
Carbonio (C)  cristallizzato nel sistema cubico disposto nel reticolo secondo la configurazione spaziale tetraedrica.
Come accade nel diamante naturale tale configurazione conferisce a  questo materiale proprietà che lo rendono unico nel suo genere.

Non parliamo quindi di una imitazione ma di vero e proprio diamante prodotto con metodi artificiali di sintesi fatti dall’uomo e non dalla natura.

I primi tentativi di  realizzare in laboratorio l’esatta controparte sintetica del diamante sono databili intorno alla fine del 19° secolo, ma  il primo successo storicamente documentato risale alla prima metà degli anni ’50 del 20° secolo, quando i ricercatori dell’americana General Electric hanno sintetizzato i primi piccoli cristalli di diamante.

Sempre la General Electric, circa 20 anni dopo, ha realizzato i primi diamanti sintetici aventi dimensioni sufficienti per poter avere un utilizzo come gemma, seguita negli  anni ’80 dalla giapponese Sumitomo, dalla De Beers e verso l’inizio degli anni ’90, da laboratori  russi.

Metodi di sintesi

Metodo di produzione HPHT

Il metodo si basa sulle condizioni che hanno permesso in natura la formazione del diamante ovvero alte pressioni ed alte temperature.

All’interno delle celle di reazione contenenti  cristalli-seme, una lega/soluzione metallica (ad esempio nickel e ferro) che funge da fondente/catalizzatore, il nutriente (solitamente grafite) viene esposto a condizioni di alte pressioni ed alte temperature (tra 1400 e 1600°C e tra 50 e 60 kbar) grazie a elementi riscaldanti e presse.
Il carbonio si dissolve nel fondente e si deposita quindi sui cristalli seme posti solitamente in una zona della cella con temperatura inferiore sotto forma di diamante.

Metodo HPHT  BARS

Metodo HPHT  TOROID

Metodo HPHT  CUBOID

Una importante problematica da affrontare per questo metodo di sintesi è quello di tenere lontana la presenza di azoto responsabile di una colorazione verde giallo alla bruna dei cristalli sintetizzati.
L’utilizzo di nuove leghe metalliche utilizzate come fondenti, con l’aggiunta di particolari elementi (come alluminio, cobalto o rame) che permettono di fissare l’azoto facendo in modo che non rientri nel reticolo del diamante.

Si ottengono così diamanti incolori (tipo Iia) o con lieve colorazione  bluastra per la presenza di lievissime quantità di boro (tipo IIb).

DIAMANTE SINTETICO CVD

Ha il grosso vantaggio di avvenire a basse pressioni, nell’ordine di 10-200 torr.

Nella camera viene creato un plasma che rompe la molecola di metano o altro gas contenente C.

Il carbonio si va quindi poi a depositare sotto forma di diamante su un substrato solitamente costituito da sottili semi di diamante.

Elementi utili alla identificazione

I diamanti sintetici incolori CVD sono in generale del tipo IIa ovvero composti da solo carbonio.

Per eliminare una possibile componente bruna presente nei diamanti cristallizzati con questo metodo dovuta a dislocazioni, vengono sottoposti a un post trattamento HPHT in grado di eliminarla.

Al microscopio i diamanti sintetici HPHT mostrano spesso caratteristiche figure di crescita, correlate ai settori di crescita cubici e ottaedrici.

È possibile rilevarle in corrispondenza di zonature di diversa fluorescenza o nella distribuzione del colore all’interno della pietra che segue questi settori di crescita.
Le inclusioni  caratteristiche, ma non sempre presenti, sono residui di fondente che si presentano come inclusioni nere e opache con lustro metallico.

Zonature di colore e linee di struttura in diamante sintetico  HPHT che seguono i settori di crescita

Le inclusioni  caratteristiche, ma non sempre presenti, sono residui di fondente che si presentano come inclusioni nere e opache con lustro metallico o estesi gruppi di inclusioni puntiformi (probabilmente minute particelle di fondente disperso).

Inclusioni di fondente metallico  in diamanti sintetici incolori HPHT

Esempi di inclusioni in diamante sintetico HPHT

I diamanti sintetici CVD potrebbero avere minute inclusioni scure (residui carboniosi) con aloni di tensione probabilmente generati da un post trattamento termico utilizzato per migliorare il colore delle gemme.

Esempi di inclusioni in diamanti cvd

Molti diamanti sintetici HPHT mostrano una caratteristica fluorescenza da gialla a verde giallastra agli UVL (365 nm) e agli UVC (254 nm).

Le impurità che vengono assorbite nella struttura del diamante sintetico durante la sua crescita tendono a concentrarsi ciascuna in determinati settori di crescita, ciò origina caratteristiche figure di fluorescenza, a forma di croce o ottagonali, mai viste in diamanti naturali.

Spesso, a differenza di quanto accade nei naturali, la reazione è più intensa all’onda corta che a quella lunga.

I diamanti naturali generalmente mostrano una fluorescenza più o meno marcata di colore blu (più raramente gialla e, meno comunemente ancora, verde o rosa), abbastanza uniforme e, comunque,  più marcata all’onda lunga che all’onda corta.

Effetti di luminescenza che seguono le direzioni di crescita cubo-ottaedriche in un diamante

La presenza di fosforescenza solitamente persistente (rarissima in natura e atipica nelle pietre incolori) è un buon segno identificativo.
Sono infatti i diamanti di tipo IIb estremamente rari in natura (contenenti boro) che presentano questo effetto solitamente di breve durata.

Una caratteristica particolare dei diamanti prodotti con il metodo HPHT è quello di mostrare poche o lievi birifrangenze anomale al contrario dei diamanti naturali. Nei sintetici CVD le birifrangenze anomale sono generalmente simili a quelle dei diamanti di tipo IIa naturali ovvero con una specie  di graticcio, spesso orientato secondo la direzione di deposizione dei cristalli.

Esistono però cristalli sintetici CVD di qualità “ottica” (QUINDI OTTICAMENTE PERFETTI ED OMOGENEI) privi di birifrangenze anomale.

Birifrangenze anomale in diamante sintetico HPHT. Quando presenti assumono la forma di una croce

Birifrangenze anomale in diamante sintetico CVD

Identificazione certa solo attraverso tecniche analitiche avanzate

La spettrofotometria IR (infrarosso) è un ottimo aiuto per riconoscere la tipologia del diamante ovvero per verificare la presenza o assenza di tracce di alcuni elementi fondamentali. SI hanno così potenziali informazioni per isolare tipologie di diamante che potrebbero essere compatibili con una produzione sintetica.

I Diamanti sintetici incolori sono di tipo IIa (azoto presente in quantità talmente piccola da non poter essere rilevato strumentalmente con IR), mentre quelli blu, come i loro analoghi naturali, sono di tipo IIb (presenza di boro). La presenza del tipo IIb ovvero di tracce di boro è riscontrabile spesso in moltissimi diamanti sintetici incolori. Sono stati anche visti in commercio diamanti sintetici di colore rosa dovuto ad un post trattamento per irraggiamento e successivo riscaldamento a bassa temperatura. E’ bene ricordare che le prime produzioni, proprio per la presenza di azoto prevedevano colorazioni nel giallo con diverse sfumature di bruno o bruno verdastro. Alcuni diamanti di questo tipo trattati per irraggiamento hanno assunto un vivacissimo colore rosso.

Allo spettrofotomentro UV-VIS-NIR la componente Ib presente nei diamanti sintetici giallo verdi genera un assorbimento a partire dai 500 nm verso l’ultravioletto.
Molti diamanti mostrano, una serie di assorbimenti tra 470 nm e 700 nm, dei quali il più evidente è a  658 nm. Questi picchi sono dovuti alla presenza di nickel all’interno della struttura cristallina presente nel catalizzatore.
I diamanti incolori sintetici di tipo IIa sono trasparenti sino a 270 nm.

Presenza di elementi come nickel, ferro, alluminio, cobalto, rame o gli altri metalli impiegati nella crescita, possono essere identificati mediante un’analisi chimica con fluorescenza ai raggi X (EDXRF).

Attraverso la Fotoluminescenza è possibile rilevare centri di colore diagnostici grazie alle tracce di impurità presenti   quindi riconoscere la natura sintetica.

La osservazione degli effetti di luminescenza ad uv molto corti può essere molto utile per riconoscere i diamanti sintetici.  

Quadro della situazione commerciale

I produttori di diamanti sintetico sostengono che:

I diamanti prodotti artificialmente in laboratorio hanno essenzialmente la stessa composizione chimica, struttura cristallina, proprietà ottiche e fisiche dei diamanti estratti dalle miniere: sono quindi diamanti al 100%. L’unica differenza tra i diamanti sintetici e quelli estratti è che uno è stato creato all’interno ed estratto dalla Terra e l’altro è stato creato in un laboratorio all’avanguardia.

Sono numerosi i produttori che sintetizzano diamante soprattutto per scopi industriali.

In gioielleria la dimensione delle gemme sfaccettate ha raggiunto dimensioni decisamente importanti: sono state viste gemme di oltre 10 ct. Ma la maggiore diffusione di questo prodotto si ha su gemme fino ad un max di 2,00 ct e nei lotti melèe (da meno di un punto fino a 0,25 ct).

Costante crescita e diffusione nel settore orafo dell’utilizzo di questo materiale gemmologico, trascinato dall’intensivo e sempre maggiore impiego industriale di questo materiale.
Ampiamente utilizzato negli strumenti come superabrasivi, mole, utensili da taglio, strumenti di perforazione e lucidatura, prodotti dell’industria automobilistica, medica, aerospaziale ed elettronica.

Per i costi di manifattura e per importanza di mercato fanno la parte del leone i paesi asiatici, seguiti dal nord America.

Commercialmente stanno avendo un forte spunto e diffusione soprattutto negli USA e in Giappone.

A fornire un forte discapito per chi tratta il naturale, la FTC statunitense (Federal Trade Commission, organo legislativo commerciale) ha permesso che queste sintesi potessero essere chiamate come “grown diamonds”.
Ha inoltre stabilito che il “diamante sintetico” è da considerarsi come vero e proprio “diamante” permettendo ai produttori di sintetici di commercializzare i loro prodotti come «reali» / «veri» (real diamonds).

Il resto del mondo e le norme ISO internazionali prevedono che questo materiale gemmologico debba essere chiamato, ai fini della chiarezza nei confronti del consumatore solo come  “diamante sintetico” al pari di qualsiasi altra sintesi.
Nessuna altra definizione o semplificazione è ammessa.
ISO 18323:2015

Il costo di questo materiale è attualmente inferiore al naturale di circa il 30-40% ma sono previste ulteriori diminuzioni dovute ad una sempre maggiore diffusione e alla riduzione dei costi di produzione.

I diamanti sintetici rappresentano attualmente circa Il 2% del mercato globale.
Ci si aspetta che entro il 2030 tale quota possa salire al 10%.
Per pietre con peso attorno al 0,50-1,50 ct, adatte ad un impiego come solitario ovvero per un anello da fidanzamento la quota del 7,5% potrebbero essere raggiunta già nel 2020.

Per il «melèe» si potrebbe arrivare ad una quota del 15% nei prossimi due anni.

La diffusione di questo materiale nel melèe potrebbe essere intensificata da una progressiva  scarsità di diamanti estratti in natura in quanto è attesa la chiusura della miniera di Argyle (ormai quasi esausta) che attualmente fornisce la maggior parte dei diamanti piccoli del mondo.

Difficile quindi fare oggi delle previsioni su quale sarà il reale impatto di questo materiale sul mercato dei preziosi.

Le nuove generazioni sembrano, dagli studi di marketing, positivamente favorevoli all’utilizzo di questo nuovo materiale in ornamentazione.

Il diamante sta perdendo quel fascino di pietra simbolo di rarità e amore eterno per raggiungere sempre più lo status di gemma a larga diffusione.
I consumatori iniziano  a percepire i diamanti sintetici come allettanti: è possibile avere gemme più grandi a prezzi più bassi e, soprattutto, fare un investimento «privo di sensi di colpa».
È attiva una importante operazione mediatica per pubblicizzare queste gemme come maggiormente “etiche” rispetto le naturali.
I giovani, essendo giustamente orientati all’ambiente e al non sfruttamento di risorse naturali e soprattutto umane, mostrano maggiore interesse per questo tipo di gemme, rispetto le generazioni precedenti coinvolte maggiormente sulla unicità e rarità del singolo gioiello.

Grossi nomi dello spettacolo e del mondo web come Di Caprio, Lady Gaga, Penelope Cruz o i possessori di Facebook, Twitter e eBay hanno pubblicizzato o persino finanziato strutture per la produzione di diamanti sintetici, credendo nel loro futuro.
La Diamond Foundry uno degli ultimi produttori statunitensi comparsi sul mercato ha dichiarato di essere attualmente l’unico produttore di diamanti certificato “carbon neutral”, in quanto i suoi diamanti sono fabbricati in un reattore al plasma ad energia idroelettrica.
Sostiene inoltre che: “l’estrazione mineraria ha un impatto ambientale maggiore rispetto a qualsiasi altra attività umana. Per un singolo carato di diamante, devono essere scavate circa 250 tonnellate di terra, e vengono rilasciati notevoli quantità di inquinamento atmosferico con l’emissione pesante di anidride carbonica”.

De Beers attraverso il marchio LIGHTBOX ha iniziato la commercializzazione on-line di linee di gioielleria con diamanti sintetici incolori, azzurri e rosa ad un costo molto basso cercando di accaparrarsi una importante fetta di mercato mondiale. (1.00 ct 800,00 US$ – 0.50 ct 400.00 US$ – 0.25 ct 250.00 US$).

Dagli studi più del 60% degli intervistati sarebbero disposti, interessati all’acquisto di un diamante sintetico su un anello di fidanzamento, per il costo inferiore del materiale permettendo così di avere gemme di dimensione maggiore ad un costo inferiore.

I consumatori con disponibilità economica solitamente più legati al fascino, al mistico all’unico  e all’irripetibile…sembrano invece mostrare molto interesse per questo materiale.

I produttori di diamanti sintetici sono stati in grado di interessare i cosiddetti «millennials» promuovendo il Lab Grown Diamond  come high-tech, innovativo e pulito.

In tutti gli aspetti della loro vita cercano marchi, aziende e prodotti che ritengono trasparenti, socialmente e rispettosi dell’ambiente.

Il consumatore non crede ormai più nel valore dei diamanti o del gioiello in generale.

Ci sono infatti stati nel tempo diversi fattori che hanno diffuso sfiducia nel settore.

  • Operatori commerciali poco trasparenti
  • Scarsa conoscenza dei materiali e del mercato da parte degli operatori
  • Scarsa resa dei diamanti da investimento
  • Poche certezze

Occorre però tener conto che: un diamante naturale anche se di brutta qualità avrà sempre un possibile acquirente.
Non esiste invece un mercato secondario per i diamanti sintetici, soprattutto perché i commercianti di diamanti attuali tendenzialmente non li trattano.
Il «buon affare», il risparmio che si può avere acquistando un diamante sintetico, sfuma quando si pensa al fatto che sarà impossibile rivenderlo.

Al momento il quadro è decisamente confuso, poco chiaro. Gli operatori del mondo, dati gli interessi economici che ruotano attorno al materiale naturale, sono decisamente preoccupati e spaventati dalla improvvisa diffusione e dal numero delle operazioni mediatiche che stanno ruotando attorno al diamante sintetico.

Ma se guardiamo al passato quello che sta accadendo ora è stato promosso nello stesso ed identico modo in passato quando DeBeers all’inizio del secolo scorso attraverso operazioni mediatiche mirate e personaggi dello spettacolo (pensiamo a Marylin Monroe e alla frasi «i diamanti sono i migliori amici delle ragazze» e «li diamante è per sempre») ha diffuso l’uso del diamante in gioielleria in modo che potesse diventare per tutti «simbolo di vero amore eterno».

Quindi difficile dare una risposta al quesito iniziale anzi, possiamo aggiungere ora un altro quesito: “il diamante sintetico potrebbe essere una opportunità?”


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Lab-grown diamond: is it a commercial problem for the future?

Lab-grown diamond: is it a commercial problem for the future?

a speech by Antonello Donini

We are talking about

SYNTHETIC DIAMOND

Crystalized carbon (C) in the cubic system and arranged tetrahedrally within the grid.

As with natural diamond, this configuration gives the material properties that make it unique. 

Therefore, we are not speaking of an imitation but of an authentic diamond produced by artificial synthesis methods made by man rather than by nature.

Initial attempts to produce the exact synthetic counterpart of diamond in the laboratory date back to the late 19th century, although the first historical success was recorded in the early 1950s when researchers at the American company, General Electric, synthetized the first small diamond crystals.

About 20 years later, General Electric was also the first to create synthetic diamonds large enough to be used as gems. This success was followed by the Japanese company, Sumitomo, and De Beers in the 1980s and by Russian laboratories in the ‘90s. 

Synthesis methods

The HPHT production method

This method is based on the conditions that led to diamond formation in nature, i.e. high pressure and high temperature.

Crystal seeds, a metal alloy/solution (e.g. nickel and iron), which acts as an amalgamate/catalyst, and the nutrient (usually graphite) are placed inside the reaction cell and exposed to high pressure and high temperatures (between 1400 and 1600° C and between 50 and 60 kbars) using heating elements and presses.
The carbon dissolves into the amalgamate and then deposits on the crystal seeds in diamond form, usually in a part of the cell where the temperature is lower.

HPHT method  BARS

HPHT method  TOROID

HPHT method  CUBOID

An important problem to face in this synthesis method is keeping any nitrogen responsible for the yellow-green to brown colouring of the synthetized crystals at bay.
Using new metal alloys as amalgamates, with the addition of particular elements (such as aluminium, cobalt or copper) fixes the nitrogen so that it cannot go back into the diamond grid.
Colourless diamonds (like lla diamonds) or those with a slightly bluish colour due to a very slight quantity of boron (type Ilb), are thus obtained.

CVD SYNTHETIC DIAMONDS

This method has the advantage of taking place at low pressures of about 10-200 torr.
A plasma is created in the chamber that breaks the molecule of the methane or other carbon-containing gas.
The carbon is then deposited in diamond form on a substrate usually made of tiny diamond seeds.

Useful identification elements

Colourless, CVD synthetic diamonds are generally of the Ila type, i.e. purely carbon.

In order to eliminate any possible brown components in crystalized diamonds that may occur with this method due to dislocations, the stones are subsequently subjected to an HPHT treatment which can eliminate them. 

Under the microscope, synthetic HPHT diamonds often show characteristic growth shapes, correlated to sectors of cubic and octahedral growth.

This growth can be found in zonings of various fluorescence or in the colour distribution within the stone that follows these growth sectors.
Characteristic inclusions, not always present, are amalgamate residues  that look like black and opaque inclusions with a metallic shine.

Colour zoning and structure lines in HPHT synthetic diamonds that follow the growth sectors

Characteristic inclusions, not always present, are amalgamate residues that look like black and opaque inclusions with a metallic shine or large groups of punctiform inclusions (probably minute particles of dispersed amalgamate).

Metal amalgamate inclusions in colourless HPHT synthetic diamonds

Examples of inclusions in HPHT synthetic diamonds

CVD synthetic diamonds can have minute, dark inclusions (carbon residues) with tension streaks probably generated by subsequent heat treatment used to improve the colour of the gems.

Examples of inclusions in CVD diamonds

Many HPHT synthetic diamonds have a typical fluorescence that ranges from yellow to a yellowish green under UVL (365 nm) and UVC (254 nm).

The impurities that are absorbed in the synthetic diamond structure during its growth tend to concentrate in particular growth sectors, that is, they generate characteristic cross-shaped or octagonal fluorescence shape, that are not found in natural diamonds.

Unlike natural diamonds, the reaction is more intense at short wave than long wave.

Natural diamonds generally show a variable degree of quite uniform blue fluorescence (yellow is much rarer and green or pink even more so) which is, in any case, more noticeable at long wave than at short wave.  

Luminescence effects that follow cubo-octahedral growth directions in a diamond

The usually persistent presence of phosphorescence (extremely rare in nature and atypical in colourless stones) is a good identification sign.
In fact, llb-type diamonds are extremely rare in nature (containing boron) which only usually have this effect for a short time.

A particular characteristic of diamonds produced with the HPHT method is that they have few or only slight abnormal birefringencies, unlike natural diamonds. In CVD synthetic diamonds, abnormal birefringencies are generally similar to those in natural, lla-type diamonds, that is, they have a kind of trellis, often going in the same direction as the crystal deposit. 

There are, however, CVD synthetic crystals with an «optic» quality (THEREFORE OPTICALLY PERFECT AND HOMOGENOUS) with no abnormal birefringencies.

Abnormal birefringencies in HPHT synthetic diamond. When present, they are cross-shaped

Abnormal birefringencies in CVD synthetic diamond

Definite identification is only possible with advanced analytical techniques

Infra-red spectrophotometry is ideal for helping to recognize the type of diamond, or rather, to check for the presence or absence of traces of some fundamental elements. IRS thus has the potential information for isolating diamond types that could be compatible with synthetic production.

Colourless synthetic diamonds are type lla (nitrogen in such small quantities that it cannot be detected instrumentally with IR), while blue diamonds, like their natural counterparts, are type llb (presence of boron). Type llb, or rather, traces of boron, can often be found in many colourless synthetic diamonds. Pink synthetic diamonds have also been seen on the market due to a subsequent irradiation treatment and heating at low temperatures. It should be remembered that, due to the presence of nitrogen, the initial productions foresaw yellow colouring in various shades of brown or greenish-brown. Some diamonds of this type, treated with irradiation, have been known to become a very bright red.

In UV-VIS-NIR spectrophotometry, the lb component in yellow-green synthetic diamonds generates an absorption that starts at 500 nm and goes towards ultraviolet.
Many diamonds show a series of absorptions, between 470 nm and 700 nm, with a more evident absorption at 658 nm. These peaks are due to the presence of nickel within the crystalline structure in the catalyst.
lla-type colourless synthetic diamonds are transparent up to 270 nm.

The presence of elements like nickel, iron, aluminium, cobalt, copper or other metals used in the growth, can be identified through chemical analysis with X-ray fluorescence (EDXRF).

Centres of diagnostic colour can be detected through photoluminescence due to traces of impurities. In this way the synthetic nature can be recognized.

Observing the effects of luminescence under extremely short uv can be very useful in recognizing synthetic diamonds.    

Overview of the market situation

Synthetic diamond producers claim that:

Lab-grown diamonds essentially have the same chemical composition, crystalline structure, optical and physical properties as diamonds extracted from mines: they are, therefore, 100% diamonds. The only difference between synthetic and mined diamonds is that one was created within the Earth and extracted while the other was created in a cutting-edge laboratory.

Numerous producers synthetize diamond above all for industrial purposes.

In jewellery, the size of multi-faceted gems has reached decidedly significant dimensions: gems of over 10 ct have been seen.
But the greatest distribution of this product is with gems up to a maximum of 2.00 ct and in melee lots (from less than a dot to up to 0.25 ct).

Constant growth and distribution of this gemmological material in the jewellery sector is towed by its intensive and ever-greater use in industry.
It is widely used in instruments such as super sanders, grinding wheels, cutting tools, tools for drilling and polishing, products used in the automobile, medical, aerospace and electronic industries.

Due to their manufacturing costs and market importance, synthetic diamonds play a leading role in Asian countries, followed by North America.

Commercially-speaking, they are receiving considerable success and distribution in the USA and Japan.

As a detrimental measure against those dealing in the natural stone, the American FTC (Federal Trade Commission, the legislative trade authority) has allowed these synthetic stones to be called “grown diamonds”.
It has also established that «synthetic diamond» is to be considered as real «diamond», thus allowing the synthetic stone producers to market their products as «real» / «true» diamonds.

The rest of the world and the international ISO standards foresee that, for the purposes of clarity and the consumers’ benefit, this gemmological material should only be called  “synthetic diamond” the same as any other type of synthetic product. 
No other definition or simplification is allowed.
ISO 18323:2015

The cost of this material is currently 30-40% lower than natural stone but further reductions are foreseen due to its ever-greater distribution and a reduction in production costs.

Synthetic diamonds currently represent about 2% of the global market.
It is expected that, by 2030, this share will have risen to 10%.
For stones that weigh around 0.50-1.50 ct, suitable to be used as solitaires, that is, for engagement rings, a 7.5% share could already be reached in 2020.

The share could reach 15% in the next two years for «melee».

The distribution of this material in melee could be intensified by a progressive scarcity of diamonds extracted from mines, since the Argyle mine, which currently supplies the majority of the world’s small diamonds, is soon to be closed (almost totally exhausted).

It is therefore difficult at this moment in time to predict exactly how this material will affect the jewellery market.

From marketing studies, it would seem that new generations are positively in favour of using this new material in personal ornamentation.

The diamond is losing its appeal as a symbol of rarity and eternal love and is becoming a highly common gem.
Consumers are beginning to see synthetic diamonds as desirable: they can have much larger gems at lower prices and, above all, make an investment «without feeling guilty».
Considerable media campaigns to publicize these gems as much more ‘ethical’ than their natural counterparts, are underway. 
The younger generations, rightly oriented towards the environment and the non-exploitation of natural and, above all, human resources, are showing greater interest in this type of gem compared to past generations, who were more greatly concerned about the uniqueness and rarity of each jewellery item.

Big names from the entertainment and web worlds, such as Di Caprio, Lady Gaga, Penelope Cruz or the owners of Facebook, Twitter and eBay, have publicized or even financed synthetic diamond production facilities, believing in their future.
The Diamond Foundry, one of the latest US producers to appear on the market, has declared itself as the only producer currently supplying certified «carbon neutral» diamonds, since its stones are made in a hydroelectrically-powered plasma reactor.
The company claims that: “mine extraction has a greater impact on the environment than any other human activity. For every single carat of diamond mined, about 250 tons of earth must be excavated and this releases a considerable amount of atmospheric pollution with heavy carbon dioxide emissions.”

Through its LIGHTBOX brand, De Beers has started the on-line sale of a line of colourless, blue and pink synthetic diamond jewellery at a much lower cost, trying to secure a significant share of the global market (1.00 ct 800.00 US$ – 0.50 ct 400.00 US$ – 0.25 ct 250.00 US$).

More than 60% of those interviewed in studies would be willing to buy, or interested in buying, a synthetic diamond for an engagement ring due to the lower cost of the material which would allow them to have a larger stone at a lower cost.

Consumers with financial resources, traditionally more bound to the charm and mysticism of the unique and unrepeatable … now seem to be showing a lot of interest in this material.

Synthetic diamond producers have been able to arouse the interest of the so-called «millennials» by promoting Lab Grown Diamonds as high-tech, innovative and clean.

In every aspect of their lives, Millennials look for brands, companies and products that they believe to be transparent, social and respectful of the environment.

Nowadays, consumers no longer believe in the value of diamonds or of jewellery in general.
In fact, several factors have spread mistrust in the sector over the years.

  • Traders that lack transparency
  • Traders with a poor knowledge of the materials and market
  • Poor investment yield on diamonds
  • Few certainties

We must, however, bear in mind that: a natural diamond, even if poor in quality, will always have a potential buyer.
There is, on the other hand, no secondary market for synthetic diamonds, especially since diamond traders currently tend not to deal in them.
The «good bargain» aspect, or rather, the savings made on buying a synthetic diamond, becomes less tangible when you consider the fact that it will not be possible to re-sell it.

At the moment, the outlook is decidedly confusing and unclear.
World traders, given the economic interest that rotates around the natural material, are decidedly concerned and scared about the sudden distribution and by the number of media campaigns that feature synthetic diamond.

But, if we look at the past what is happening now was promoted in exactly the same way before when, at the beginning of the last century, DeBeers, through targeted media campaigns and movie stars (we could mention Marylin Monroe and phrases like «diamonds are a girl’s best friend» and «diamonds are forever»), disseminated the use of diamonds in jewellery so that they could become a «symbol of true and eternal love» for everyone.

It is therefore hard to answer the initial question but perhaps we could now pose another: “could synthetic diamond be an opportunity?”


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Lo scenario macroeconomico per il settore orafo

Lo scenario macroeconomico per il settore orafo

una relazione di Stefania Trenti

Il settore orafo italiano nel 2019

Fatturato e produzione positivi anche nel 2019

  • Secondo i dati ISTAT la produzione del settore gioielleria e bigiotteria ha registrato nei primi 10 mesi del 2019 una nuova forte crescita: +19,5%, per il terzo anno consecutivo. 
  • In forte aumento anche il fatturato: +11,4% tra gennaio e ottobre 2019. Il fatturato è in crescita per il decimo anno consecutivo.

 

Evoluzione del fatturato e della produzione del settore orafo (var.%)

Settore orafo: codice ATECO 32.1
*2018: gennaio – novembre
Fonte: Intesa Sanpaolo, elaborazioni su dati Istat

Prezzo dell’oro in crescita…

A partire dal mese di maggio la forte incertezza nello scenario globale ha comportato una significativa crescita del prezzo dell’oro che ha superato rapidamente i 1500 dollari oncia tra agosto e settembre per poi posizionarsi su livelli superiori alla media del 2018.
Nella media del 2019 il prezzo dell’oro è aumentato del 15,9% in euro e del 9,7% in dollari.

Quotazioni mensili dell’oro

Fonte: elab. Intesa Sanpaolo su dati LME

…con effetti negativi sulla domanda mondiale

La domanda mondiale di gioielli in oro ha reagito rapidamente al nuovo quadro dei prezzi, registrando una significativa contrazione nel terzo trimestre (-15,6%), in particolare sui due principali mercati (Cina e India) ed in Medio Oriente.

Domanda mondiale di gioielli in oro: var.% tendenziali (tonnellate)

Domanda mondiale di gioielli in oro: var.% tendenziali per paese

Fonte: Intesa Sanpaolo su dati World Gold Council – Gold Demand Trends

Ottime performance per l’export italiano…

Nei primi nove mesi del 2019, le esportazioni di gioielli in oro sono cresciute del 12,1% in quantità e dell’8,8% in valore in euro.

Evoluzione delle esportazioni di gioielli in oro (var.% tendenziale)

* Codici HS 711319 per oro e altri preziosi Fonte: Intesa Sanpaolo, elaborazioni su dati Istat

…con risultati positivi diffusi a (quasi) tutti i mercati…

Evoluzione delle esportazioni italiane di gioielli in oro (var.% tendenziale)

* Codici HS 711319 per oro e altri preziosi Fonte: Intesa Sanpaolo, elaborazioni su dati Istat

 

…e i distretti

Le esportazioni provinciali sono disponibili solo a livello più aggregato (inclusa la bigiotteria) e solo in valore (e non in quantità).
Tutti i territori hanno registrato una evoluzione positiva, con risultati più brillanti per Arezzo.

Esportazioni italiane di gioielli e bigiotteria* nel 2019 (var.%)

*Codice 32.1 Fonte: elab. su dati ISTAT

 

Il successo del lusso traina Svizzera, Francia e Italia

Quote sulle esportazioni mondiali di gioielli in oro* (%)
N.B. Al netto dei flussi verso e dagli Emirati Arabi Uniti e tra Cina e Hong Kong
*Codice 711319 Fonte: elab. su dati UNCTAD Comtrade

 

Ottimi risultati negli USA

Quote sulle importazioni USA di gioielli in oro* (%)
*Codice 711319 Fonte: elab. su dati US Trade

Le prospettive per i prossimi mesi

Commercio mondiale in ripresa, ma trend di crescita modesto

Le variazioni sono calcolate sull’indice mensile di commercio mondiale CPB. L’area ombreggiata indica le proiezioni. Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo

Le previsioni al 2021

  • Lieve ripresa nel primo semestre 2020 ma dato annuo inferiore al 2019 a causa di un effetto trascinamento penalizzante.
  • Attesa una leggera accelerazione (dei dati annui) nel 2021, anche grazie agli accordi sul commercio.

Le previsioni di crescita del PIL

Fonte: Refinitiv-Datastream ed elaborazioni Intesa Sanpaolo

Dall’Asia i primi segni di stabilizzazione del ciclo

L’indice anticipatore OCSE per la Cina conferma la svolta

Fonte: OECD

PMI manifatturiero Globale beneficia della ripresa dei Paesi emergenti

Fonte: IHS Markit

Ciclo USA: rallentamento controllato 

Crescita verso il potenziale

Fonte: Refinitiv-Datastream

Manifatturiero in via di stabilizzazione

Fonte: Refinitiv-Datastream

I consumatori sono ottimisti

Crescita dei consumi sostenuta da una dinamica solida del reddito disponibile

Fonte: Refinitiv Datastream

Le famiglie sono molto ottimiste

Fonte: Refinitiv Datastream

Il mercato del lavoro è la forza trainante dei consumi: disoccupazione sui minimi dal 1969

Il tasso di disoccupazione è sui minimi da fine 1969…

Fonte: Refinitiv Datastream

…con la dinamica salariale in accelerazione

Fonte: Refinitiv Datastream

I bilanci delle famiglie sono finalmente in ordine

Ricchezza netta in continuo aumento e tasso di risparmio sui livelli degli anni ‘90

Fonte: Refinitiv Datastream

Le famiglie hanno ridotto il loro debito, le imprese e il settore pubblico no

Fonte: Refinitiv Datastream

Area euro: domanda interna sostenuta da redditi reali e politiche fiscali

Crescita salariale e occupazione sostengono redditi e consumi

Fonte: Eurostat e proiezioni Intesa Sanpaolo

Saldo primario corretto per il ciclo: i budget 2020 mostrano un modesto allentamento (0,3% a livello di Eurozona)

Fonte: Commissione Europea

 

Domanda estera più favorevole nel 2020

Per l’area euro la domanda estera dovrebbe riprendersi parzialmente nei prossimi trimestri

Fonte: stime Intesa Sanpaolo e Oxford Economics

Italia: crescita ancora modesta

  • Per il 2020 ci aspettiamo una lieve accelerazione a 0,3% (0,4% non corretto per i giorni lavorativi), dallo 0,2% del 2019.
  • Attesa una crescita dello 0,5% nel 2021.

Il PIL è cresciuto negli ultimi trimestri nonostante una contrazione dell’attività industriale

Fonte: Refinitiv-Datastream, Istat ed elaborazioni Intesa Sanpaolo

Legge di bilancio: risorse destinate al blocco dell’IVA

Le modifiche dell’ultim’ora hanno visto un alleggerimento e un rinvio a luglio della plastic tax, uno slittamento a ottobre della sugar tax e un sostanziale azzeramento della stretta sulle auto aziendali. La manovra è salita a 32 miliardi.

Interventi (impatto in miliardi sul 2020)

Coperture (impatto in miliardi sul 2020)

Nota: effetto sull’indebitamento netto in miliardi
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su DPB 2020

Tenuta dei consumi grazie ad una buona dinamica del reddito disponibile

Contributi alla crescita delle varie componenti del PIL

Fonte: Refinitiv-Datastream, Istat ed elaborazioni Intesa Sanpaolo

Un ritorno alla crescita è possibile nel medio termine

Il calo dei tassi di interesse comporta, oltre a risparmi per lo Stato, anche una spinta alla crescita del PIL

La ri-accelerazione degli aggregati monetari (la cui svolta ha sempre anticipato quella del ciclo) fa sperare in un ritorno alla rescita del PIL nel medio termine

Nota: effetti cumulati di un calo di 100 punti-base dei rendimenti sui titoli di Stato a medio e lungo termine (circa in linea con quello registrato negli ultimi 6 mesi) sul PIL (deviazioni % rispetto al baseline) e sulla spesa per interessi della PA (in % del PIL).

Fonte: Banca d’Italia, MEF, elaborazioni Intesa Sanpaolo

Prezzo dei preziosi  

L’incertezza geopolitica dovrebbe continuare anche nel 2020 a sostenere il prezzo dell’oro che nelle nostre attese dovrebbe proseguire il percorso di consolidamento, rimanendo nella media del 2020 intorno ai 1500$/oncia troy, con potenziali rischi al rialzo derivanti dall’ampia liquidità sui mercati e da politiche monetarie espansive in tutte le aree.

Prezzo dell’oro ($/oncia troy)

Fonte: elab. su dati LME

Euro in lieve apprezzamento su USD in un orizzonte di 12 mesi

Fonte: Intesa Sanpaolo

Importanti comunicazioni

Gli economisti che hanno redatto il presente documento dichiarano che le opinioni, previsioni o stime contenute nel documento stesso sono il risultato di un autonomo e soggettivo apprezzamento dei dati, degli elementi e delle informazioni acquisite e che nessuna parte del proprio compenso è stata, è o sarà, direttamente o indirettamente, collegata alle opinioni espresse.

La presente pubblicazione è stata redatta da Intesa Sanpaolo S.p.A. Le informazioni qui contenute sono state ricavate da fonti ritenute da Intesa Sanpaolo S.p.A. affidabili, ma non sono necessariamente complete, e l’accuratezza delle stesse non può essere in alcun modo garantita. La presente pubblicazione viene a Voi fornita per meri fini di informazione ed illustrazione, ed a titolo meramente indicativo, non costituendo pertanto la stessa in alcun modo una proposta di conclusione di contratto o una sollecitazione all’acquisto o alla vendita di qualsiasi strumento finanziario. Il documento può essere riprodotto in tutto o in parte solo citando il nome Intesa Sanpaolo S.p.A.

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